“Uno scrittore in guerra”
di Vasilij Grossman

La narrazione in presa diretta della seconda guerra mondiale dal fronte Est europeo

di / 5 giugno 2015

Con Stalin non c’era mai stata alcuna intesa, anzi, ma l’ingenuo, idealista Vasilij Grossman non poteva immaginare che l’ostilità del partito nella parte finale della vita lo avrebbe relegato nell’oblio e costretto all’indigenza. Magari sarebbe andata diversamente se non avesse sottovalutato che il nome del tiranno nei suoi taccuini dal fronte orientale non appariva se non sottotraccia e al più evocato nella pessima luce che meritava, e soprattutto se avesse capito che impegnarsi nella ricerca sui crimini antisemiti dei nazisti in terra sovietica avrebbe infastidito assai un regime che credeva di avere anch’esso buoni motivi per dare il proprio contributo all’odio antiebraico. Si dà il caso anzi che Grossman ebreo lo fosse in proprio; fu già una fortuna che non pagasse con la morte la campagna anticosmopolita che dalle parti di Mosca iniziò nel dopoguerra e negli ebrei trovava il bersaglio per eccellenza. Eppure, l’esaltazione del popolo russo durante il conflitto con i tedeschi fu mitigata solo dalla forza dello stile: questo è il punto ineludibile degli scritti raccolti nel recente volume adelphiano Uno scrittore in guerra, a cura di Antony Beevor e Luba Vinogradova (la traduzione è di Valentina Parisi).

Il goffo e molliccio signore che voleva dare il proprio contributo alla difesa della patria dall’invasione delle truppe naziste fu accontentato ma dirottato saggiamente verso quello che sapeva fare: il narratore. Non era ancora l’autore di Vita e destino, ma bravo abbastanza per meritarsi la fiducia del direttore del giornale Krasnaja zvedza, il generale David Ortenberg, al seguito delle truppe sovietiche avrebbe scritto da embedded insomma. Lucido, risoluto, epperò sedotto dal sincero sentimento patriottico dei soldati russi. Senza edulcorare, cercò di essere sincero egli stesso guadagnandosi la fiducia dei suoi intervistati, dei soldati che seguiva a ogni passo, come lo spietato cecchino che portava un nome non qualunque (Cechov).

Se l’anima russa nella sua versione patriottica è salva, e benché qualche ufficiale non manchi di definire banditi i propri soldati che sgozzano i tedeschi con le proprie mani, non altrettanto può dirsi dei vertici militari. I russi avevano sottovalutato la situazione e  rischiarono seriamente di perdere la guerra. L’Armata Rossa spesso non sembrava all’altezza del compito immane cui si trovava di fronte. Nei taccuini di Grossman questo non è nascosto. Ma all’impasse tecnica risponde con orgoglio il popolo sovietico, molto più generoso e determinato dei suoi capi. Grossman se ne sente parte, fiera e combattiva. È la sua parte: «Tocchi gli oggetti, i giornali […] appartenuti ai tedeschi e provi l’impellente bisogno di lavarti le mani». Nei suoi taccuini lo scrittore annota ogni cosa, mostrando maggiore scioltezza col passare del tempo; all’inizio abbonda la frase nominale, mera registrazione di cose, azioni, movimenti; poi più avanti la precisione descrittiva si apre in un periodare più sicuro. Lo scrittore si sta preparando alla grande opera (Vita e destino, che non vedrà mai pubblicata). Chiede periodi di pausa al suo direttore proprio per scrivere. Ma intanto si fa soldato fra i soldati. Segue passo dopo passo carristi, soldati semplici, artiglieri. Stalingrado è una storia fra le più drammatiche dell’umanità, ed è un’esperienza fondativa per uno scrittore maiuscolo. «La spietata verità della guerra» ne ha segnato la vita, ma se la guerra è tragedia (e lo è), la sua arte ne ha tratto indubbio giovamento.

(Vasilij Grossman, Uno scrittore in guerra, a cura di Anthony Beevor e Luba Vinogradova, trad. di Valentina Parisi, Adelphi, 2015, pp. 471, euro 23)

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LA CRITICA

Gli scritti dal fronte di Vasilij Grossman, l’autore di Vita e destino. Partecipazione e senso di patriottica appartenenza non impediscono al grande scrittore russo una cronaca lucida e impietosa della guerra contro i nazisti.

VOTO

8/10

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