Sfruttati e felici… non per molto

Intervista al filosofo Maurizio Ferraris, autore di “Mobilitazione totale”

di / 16 settembre 2015

Dove sei? Ontologia del telefonino (Bompiani); Ricostruire la decostruzione (Bompiani); Anima e iPad (Guanda); Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce (Laterza); Manifesto del nuovo realismo (Laterza): questi sono solo alcuni dei libri pubblicati del filosofo Maurizio Ferraris e, a ben guardare, sembrano più che sufficienti a tracciare un profilo dell’autore meglio di una qualsiasi nota biografica o di qualche riferimento a cattedre universitarie. Lo abbiamo raggiunto per parlare del suo recente Mobilitazione totale (Laterza, 2015), che si presenta senza sottotitolo, come se quest’ultimo non avesse potuto aggiungere niente. È dunque da qui che partiamo.


Mobilitazione totale
riprende il titolo di uno scritto di Ernst Jünger; in quel caso la mobilitazione era riferita alla grande guerra, nel caso del suo volume? Che genere di guerra sarebbe, se ce n’è una, quella che ci sottopone a tale tipo di chiamata alle armi?

Jünger pensava di estendere alla società civile l’organizzazione militare che aveva sperimentato nella Grande Guerra. Più tardi, nella seconda guerra mondiale, Goebbels parlerà di guerra totale, che è un’idea simile. Ma né l’una né l’altra si sono realizzate davvero (ed è stata una fortuna), perché anche la struttura di governo e controllo più implacabile, e il popolo più disciplinato, non bastano per attuare una mobilitazione davvero capillare. Rimarrà sempre il dissidente, il drop out, il bastian contrario, e sopratutto rimarrà sempre uno spazio privato inattingibile alla mobilitazione. Invece con il web è proprio dallo spazio privato che ha inizio la mobilitazione, la necessità di rispondere e di reagire a dei messaggi che ci raggiungono e che non possiamo ignorare perché tutto è registrato, tutto è scritto, non si può fingere di non aver sentito: è come se il messaggio dell’imperatore ci raggiungesse immediatamente e non ci lasciasse scampo.


È forse proprio per questo che il libro si apre con il racconto di un episodio che credo sia capitato alla stragrande maggioranza di noi, quello di una mail ricevuta nel pieno della notte e che ci spinge quasi impulsivamente a rispondere. Perché lo facciamo e – per citare il titolo di un suo capitolo – chi ce lo fa fare? 

Rousseau diceva che l’uomo è nato libero, e si stupiva che sia dovunque in catene. Esperienze come quelle della mail nella notte depongono a favore di una visione meno ottimista: l’uomo è naturalmente disposto alle catene, prova ne sia che anche senza costrizioni come quella di un ufficio, di un orario, di una catena di montaggio, e senza giustificazioni finanziarie, può essere disposto a lavorare nel cuore della notte. È bene saperlo, non per calunniare l’umanità definendola come un’accolita di schiavi ma, proprio al contrario, per tener conto di questa inclinazione e, su questa base, cercare delle strategie di liberazione, che saranno tanto più efficaci in quanto non partiranno da un presupposto illusorio.


Lei indica i principali strumenti che ci consentono di rimanere connessi al web (tablet, smartphone, pc) con l’acronimo ARMI (Apparecchi di Registrazione e di Mobilitazione della Intenzionalità). Ancora un uso di un termine guerresco: queste ARMI sono comparse con Internet o esistevano, e in che forma, in una società per così dire analogica?

Sono sempre esistite: bollette da pagare, cartoline precetto, cartelle delle tasse, inviti a corte, catene di sant’Antonio, e magari anche lettere d’amore moleste e ricattatorie. Tutte hanno in comune di chiedere un’azione, fosse pure semplicemente una risposta. Sono armi? Certo che sì, visto che ne uccide più la penna che la spada. A voler essere meno militari, diciamo comunque che sono degli ordini, o, come nel Padrino, offerte a cui non si può dire di no.

 

Il rapporto fra il cittadino e il web è necessariamente differente da quello che solitamente si ha con la televisione o gli altri media, questo perché radio, Tv e giornali sono, nella loro forma tradizionale, unidirezionali, mentre con il web abbiamo un rapporto di scambio continuo, ovverosia comunichiamo continuamente informazioni su di noi per poterlo utilizzare. Quali sono le possibili conseguenze?

Quelle che vediamo: un grande lavoro sepolto e nascosto, la creazione di ricchezza (l’informazione lo è) a titolo gratuito da parte degli utenti, che in questa impresa mettono i mezzi di produzione (i computer e i telefonini sono degli utenti, non delle compagnie), il loro tempo, la loro cultura, la loro forza-lavoro, e la loro identità.

 

E la mole di informazioni trasmesse da queste attività da chi è controllata? Non dagli stati e dai governi (che sarebbero i soggetti predisposti a cui cedere, in una modalità in qualche modo democratica, parte della nostra privacy) ma da organizzazioni private delle quali non conosciamo praticamente nulla. E dunque, il vero potere è detenuto da chi non viene eletto con un consenso popolare?

Sì. Tutto questo è al di fuori di ogni controllo. Siamo entrati, e da tempo, in una situazione diversa rispetto a quella prospettata dal pensiero critico tradizionale. Chi è sfruttato, per esempio, è felice di esserlo. Significa che è stupido? Spero proprio di no, visto che in questo momento io sono sfruttato (rispondo gratuitamente alle sue domande) e sono felice di farlo (lusinga la mia vanità, placa il mio conformismo che mi porta a rispondere nel cuore della notte, sebbene, e deve scusarmene, la abbia fatta attendere a lungo). Invece di straparlare del Capitale e di invocare gli spettri di Marx, come spesso si fa, sarebbe più utile analizzare in modo imparziale questa nuova situazione.

 Maurizio_Ferraris

(Maurizio Ferraris, Mobilitazione totale, Laterza, 2015, pp. 120, euro 14)

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