“Shenzhen significa inferno”
di Stefano Massini

Non per il solo coltan sanguina il vostro cellulare

di / 27 novembre 2015

Shenzhen è una città sub-provinciale sita nella regione continentale meridionale della Repubblica Popolare Cinese e appartenente alla provincia di Guangdong. Zona Economica Speciale, è stata definita come il centro nevralgico di una «silk road high-tech» lungo la quale transita almeno il 90% della produzione mondiale di prodotti elettronici. Pochi anni fa Shenzhen è balzata al (dis)onore della cronaca a causa dell’inchiesta che il New York Times ha condotto presso lo stabilimento Foxconn alla ricerca delle cause dietro l’alto tasso di suicidi e incidenti sul lavoro e, seppure nulla rimandi esplicitamente a quell’episodio, sembra esserci questo scenario nel background di Shenzen significa inferno.

Chiusi in una stanza i quattro operai-vittime, due uomini e due donne, vengono e sottoposti a una serie di test al fine di dimostrare, senza possibilità di errore, la loro dedizione all’azienda e le loro eccellenti capacità per sperare di ottenere un aumento di salario. Un solo nemico si erge tra loro e la soddisfazione di vedere riconosciuto dall’azienda il proprio valore, e non è l’operario che siede alle loro spalle. Si tratta del loro nemico interiore fatto di paura e bisogni. Il loro Io umano, quello che lo spietato maieuta chiamato a esaminarli ha il compito di portare alla luce ed eliminare. Per il loro bene, s’intende, prima che per il bene economico dell’azienda.

Nella forma Shenzen significa inferno è un monologo, ma non ha niente di tutto ciò che caratterizza solitamente il monologo. Seppure incorporei, gli operai sono presenti in scena tanto quanto il loro esaminatore, immersi in un’atmosfera asettica, completamente spersonalizzante e densa di interrogativi martellanti ed espedienti mirati ad azzerare l’autostima degli intervistati per farne emergere i punti di rottura.

Massini, già autore di Lehman trilogy, l’ultima regia di Ronconi, e consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano, costruisce un testo solidamente ancorato alla realtà presente e ai suoi drammi, musicale ed essenziale nelle sue ridondanze, pieno di voci perfettamente udibili nonostante non se ne oda il suono. Ad amplificare l’effetto disturbante del testo, collabora Luisa Cattaneo, già attrice in altri lavori del drammaturgo. È lei l’inquisitore sofista, la versione deviata di un responsabile delle risorse umane, che dispone tranelli lungo tutto il percorso che, per sessanta minuti, i quattro operai sono costretti a percorrere.

 

Shenzhen significa inferno
Scritto e diretto da Stefano Massini
con Luisa Cattaneo

Produzione Il Teatro delle Donne
con il patrocinio di Amnesty International

Roma – Brancaccino dal 26 al 29 novembre 2015

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LA CRITICA

Come la realtà, quando la si osserva da molto vicino, questo testo lascia la sensazione di aver trascorso un’ora a masticare sabbia. La Cattaneo è chiamata a uno sforzo notevole per dare voce e corpo ai cinque personaggi che Massini dispone sulla scena. «Come sono andata?» In maniera eccellente.

VOTO

8/10

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