“Chiamatemi Francesco”
di Daniele Luchetti

Il primo film su papa Bergoglio

di / 1 dicembre 2015

Alla vigilia del Conclave che lo eleggerà papa con il nome di Francesco I, l’arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, arriva a Roma per partecipare alla votazione. Contemplando la basilica di San Pietro, Bergoglio si lascia andare ai ricordi della sua vita argentina, dal giorno della vocazione fino agli ultimi anni nella curia della capitale.

Chi si aspettava una specie di nuovo Habemus Papam lasci perdere subito. Chiamatemi Francesco, il nuovo film di Daniele Luchetti prodotto dalla TaoDue Film del gruppo Mediaset sotto la guida attiva di Pietro Valsecchi, non è un film sulla religione o sulla responsabilità del soglio pontificio, non è un film che cerca di capire il senso di domande o la possibilità delle risposte. Con il film dell’amico Moretti non ha niente in comune. Chiamatemi Francesco è un film biografico puro e semplice, di quelli classici, tendenti alla celebrazione.

Attraverso un lungo flashback che parte da un Bergoglio ancora giovane e laico, Luchetti cerca di raccontare la storia dell’Argentina attraverso la testimonianza attiva di un giovane prete che mostrava già in sé i caratteri del pontefice. Ci sono tutti i momenti fondamentali della vita del futuro Francesco: la fidanzatina, la vocazione con il sogno di andare a fare il missionario in Giappone, gli anni da superiore provinciale nel collegio dei gesuiti di Buenos Aires, il rapporto con la dittatura, l’esilio in campagna e il ritorno in città, il rapporto con le periferie e i poveri e così via. È la parabola completa di un uomo destinato a diventare papa, un agiografia, molto più che una biografia, uno sconcertante santino che lascia perplessi non certo per i contenuti o per il taglio che si è deciso di adottare per raccontare Bergoglio, quanto soprattutto per la banalità della messa in scena, della narrazione, della scrittura, di tutto.

È evidente sin dai primi minuti che ci troviamo di fronte a un prodotto pensato per la televisione, e non per il cinema, e del resto Chiamatemi Francesco è destinato a passare su Canale 5 da qui a un anno e mezzo nella sua versione estesa di quattro ore e mezzo, e in questo formato sta venendo venduto in giro per il mondo. Questa versione che vorrebbe essere cinematografica sconta una superficialità estrema nella sua evoluzione narrativa, con una semplificazione a tratti desolante di quelli che dovrebbero essere i momenti fondamentali per comprendere la persona Bergoglio sotto gli abiti ecclesiastici. In poco più di cinque minuti viene liquidata tutta la vita pregesuitica. Gli amici, la fidanzata, il peronismo giovanile vengono sbrogliati nel giro di una visita a un museo e di una cena, ma non che venga lasciato maggior spazio al Bergoglio prete. Tutto è mostrato con superficialità, dalle amicizie alle rivalità. L’unica attenzione della sceneggiatura è quella di mostrare un  Bergoglio sempre più umano dell’umano, pronto ad aiutare chiunque senza preoccuparsi delle ragioni politiche, pronto a chinare il capo per pura prudenza diplomatica, mai incline alla collera, sempre misurato, sempre comprensivo. Questo anche a costo di tralasciare qualsiasi pretesa, anche minima, di coerenza narrativa.

Per assurdo, i momenti migliori Chiamatemi Francesco li offre quando Francesco è lontano dallo schermo e viene raccontata la storia dei desaparecidos e delle violenze del regime, con crudezza e realismo.

Stupisce come, presentando il film alla stampa, Luchetti abbia sottolineato come la sua principale preoccupazione fosse stata quella, in fase di realizzazione, di scongiurare il rischio santino per cercare invece di offrire al pubblico una biografia sfaccettata, con un modello ideale individuato in The Queen di Stephen Frears. Parole condivise, quelle del santino, anche dal produttore Valsecchi. Invece, con Chiamatemi Francesco siamo di fronte alla celebrazione in vita di un uomo divenuto papa ma di fatto già pronto per una canonizzazione a mezzo cinematografico. Una canonizzazione che, per di più, passa attraverso un film che di cinematografico ha davvero poco.

Non è un discorso religioso, la religione non c’entra nulla, questa recensione non deve dire se sia giusto o meno celebrare Bergoglio, se sia opportuno farlo: qui si parla di cinema. Chiamatemi Francesco non è un film, è semplice propaganda pregiubilare, un incomprensibile passo falso da parte di un autore da cui era lecito aspettarsi ben altro impegno nel parlare di papi, dopo Nanni Moretti e in attesa dello Young Pope di Paolo Sorrentino.

(Chiamatemi Francesco – Il papa della gente, di Daniele Luchetti, 2015, biografico, 94’)

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LA CRITICA

Poteva essere un film d’autore su un papa in vita, Chiamatemi Francesco invece è la sintesi cinematografica di un elegia televisiva di un uomo destinato al pontificato e all’amore della folla. Un’opera di propaganda destinata al consumo di massa e poco di più.

VOTO

3/10

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