“L’automobile, la nostalgia e l’infinito”
di Antonio Tabucchi

Le conferenze su Pessoa tenute da Tabucchi a Parigi nel 1994, tradotte per la prima volta

di / 9 dicembre 2015

Era il 1964 quando a Parigi il giovane Antonio Tabucchi, appena uscito dal liceo, acquistò da un bouquiniste la raccolta di poesie in versione francese Tabacaria a firma Àlvaro de Campos, uno degli eteronimi, il più metafisico, del poeta Fernando Pessoa.

Fu così che decise di imparare la lingua portoghese. A Pisa, dove si era iscritto all’Università, incontrò Luciana Stegagno Picchio, grande esperta di letteratura lusitana, che gli fece vincere una borsa di studio per Lisbona.

Nella capitale portoghese Tabucchi trovò e coltivò due amori: quello per la compagna di vita Maria José de Lancastre e quello per colui che accompagnerà la sua vita intellettuale e di scrittore fino alla fine, Fernando Pessoa.

Lisbona diventa per il giovane italiano così una seconda patria dopo l’Italia e Parigi. Del resto, saper entrare in un paese straniero dall’interno è un po’ come nascervi. Ancora storditi ci si trova immersi in mezzo alla vita quotidiana della città senza accorgersene acquisendone gusti e abitudini.

L’automobile, la nostalgia e l’infinito (Sellerio, 2015) raduna le lezioni che nel novembre 1994 lo scrittore, scomparso nel 2012, aveva tenuto alla Sorbona proprio sul grande poeta portoghese, una personalità complessa, scissa nei suoi molteplici eteronimi di cui lui stesso si definiva ortonimo.

Il libricino è una fenomenologia dell’esperienza tabucchiana di leggere Pessoa, considerato ‹‹uno scrittore universale›› al pari di Dante, Cervantes, Shakespeare o Dostoevskij, portatore di endoxa, ossia di concetti validi per tutti e in tutti i luoghi (Aristotele). La forma scelta per trasmettere queste idee universali è l’etoronimia. È Pessoa stesso a confessare la genesi dell’eteronimia in un’intervista al critico Adolfo Casais Monterio, dove spiegava la sua tendenza a creare intorno a sé un mondo fittizio, popolato da amici e conoscenti immaginari: «I personaggi sono dunque una finzione; ma i sentimenti che provano sono sentimenti “veri”, appartengono a una verità simbolica e possiedono una verità universale». Inoltre gli eteronimi «sono altri-da-sé, personalità indipendenti e autonome che vivono al di fuori del loro autore».

Ecco allora nascere per scherzo «un poeta bucolico abbastanza sofisticato», l’8 marzo 1914, Alberto Caeiro. Seguono Rocardo Reis e  Àlvaro de Campos, «ingegnere navale e uomo tormentato, che esprime il suo geometrico nichilismo con una capacità d’astrazione vagamente spinoziana», che si rivela attraverso gli oggetti che popolano la sua poesia: un monocolo, segno distintivo del dandy; una Chevrolet, automobile simbolo della modernità per le avanguardie storiche; un volano, una valigia, un transatlantico e poi una sedia, oggetto preferenziale dell’homo melancholicus.

Il più famoso eteronimo resta però Bernardo Soares, quell’«umile contabile di un negozio di stoffe; una vita ordinaria e immaginaria; una modesta camera in affitto; il solito ristorante, la trattoria Pessoa, dove, come ci svela l’ortonimo, Bernardo Soares cenava con Fernando Pessoa». Questo uomo dalla vita monotona e insignificante è l’autore del Libro dell’inquietudine, un diario in cui racconta «le sue depressioni quotidiane e notturne». Sì, perché Bernardo Soares è afflitto da disforia e a lui Pessoa affida due compiti: vivere in modo vicario la sua depressione e osservare dal di fuori la vita in fermento e percorsa da emozioni.

Emergono così tutti i principali temi della poetica del poeta portoghese come ad esempio la «Nostalgia», parola greca che deriva da nostos, ossia «ritorno», e algos, «dolore», il dolore del ritorno. Sembra che la parola fosse stata inventata nel 1678 da un medico, Jean-Jacques Harder, per descrivere la sofferenza dei soldati svizzeri quando restavano troppo lontano dai loro campi. La nostalgia dunque avvelena e allo stesso tempo addolcisce il tempo presente.

Un altro motivo della lirica di Pessoa è il tedio o la noia, in cui è evidente l’influenza di Leopardi: «Con Leopardi, inizia a esistere la discordanza tra il reale e il concetto del reale, tra il desiderio e l’oggetto del desiderio».

Si delinea cioè quella caratteristica della poesia moderna, quando, a partire dalla rivoluzione romantica, la componente intellettuale e speculativa, teorica e in senso lato filosofica si è imposta come elemento costitutivo e irrinunciabile del fare poetico.

Le lezioni di L’automobile, la nostalgia e l’infinito sono solo assaggi, estratti di un dialogo atemporale, durato tutta un’esistenza, fra i due intellettuali, che mi richiamano alla memoria l’ultima maniera di due grandi artisti: quella di Tiziano Vecellio, che, ormai anziano, dipingeva a rapide e sommarie pennellate o addirittura con le dita e il non finito di sculture di Michelangelo Buonarroti, in cui restano visibili i segni della sgorbia e dello scalpello.

(Antonio Tabucchi, L’automobile, la nostalgia e l’infinito, Sellerio, 2015, pp. 120, euro 12)

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LA CRITICA

In L’automobile, la nostalgia e l’infinito Antonio Tabucchi ci regala un ritratto di Fernando Pessoa con un disegno a china essenziale, assoluto e potente, seppur parziale e frammentario.

VOTO

7,5/10

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