“Storia del denaro”
di Alan Pauls

Pauls emerge ormai come uno scrittore di sicura grandezza

di / 15 gennaio 2015

Magnificazione del piano sequenza. Ma non è cinema: è letteratura, vera. A un certo punto della Storia del denaro, ultimo straordinario romanzo di Alan Pauls (SUR, 2014), il padre del ragazzo attraverso i cui occhi è raccontata, impartisce al figlio una vera e propria lezione di vita, “itinerante”. Una camminata in ufficio viene trasformata in uno «scrutinio degli impiegati» (va da sé, tutti morti come vuole «l’esistenzialismo da impiego statale che impera allora in America Latina»). Tutto in un solo sguardo, un’unica inquadratura che è in cifra l’omologo più o meno approssimativo del romanzo costruito con un’unica frase che originariamente lo scrittore argentino si era prefissato come tecnica e visione del suo lavoro. Cinema dunque, ma in un’accezione diversa dalla solita in virtù della quale si parla di scrittura cinematografica a proposito di romanzi (e per lo più si finisce per intendere una lingua approssimativa, da sceneggiatura, un segno marcato del montaggio e del dialogo, una visività non di rado piallata sul presente oggettuale della rappresentazione, eccetera). Pauls, che pure ha scritto spesso per il cinema (e molto presente il cinema risulta nelle cogitazioni sparse nel libro), confessa nelle sue interviste di essere sempre stato a disagio con la sceneggiatura perché la sua è scrittura pura e non funzionale a un altro linguaggio ma tenta di rubare al cinema la possibilità di inquadrare il mondo in un movimento di macchina che rubi tutto il possibile della scena e simuli la vita come tempo. Se ha poi rinunciato a costruire il suo romanzo (terzo di un trilogia che comprende anche Storia del pianto Storia del capelli) con un’unica frase, i suoi restano periodi lunghissimi, di splendida ma leggibilissima complessità – e realizzano, ovviamente, più di quanto possa il cinema: perché involgono sì immagini movimenti rumori (strepitoso il crepitio dei crostini nella bocca di un morto, un amico del marito di sua madre) per ognuna di esse si dipartono tangenzialmente riflessioni supposizioni inferenze: il dicibile dell’universo umano qui racchiuso in una famiglia argentina degli anni Settanta i cui rapporti passano attraverso la contingenza materiale e il dominio metafisico insieme del denaro: presenza palese e occulta che pare costituire l’ambiente, la possibilità  stessa del vivere. Attraverso il denaro si configurano caratteri, relazioni, scelte psicologiche e sociali. Pauls racconta stando addosso agli oggetti (mentali e materiali) con un’ostinazione che richiede al lettore la stessa pertinacia e – diremmo – passione. Non quella feticistica per i dettagli in quanto tali, ma per l’esplorazione di una possibile verità delle cose che passa attraverso la definizione molecolare delle stesse in una corrente potenzialmente inesauribile.

Pauls, concentrando lo sforzo del suo continuum narrativo su un tema particolare (il denaro – che pure particolare abbiamo visto non è) e la sua declinazione sui vari componenti di una famiglia (allargata diremmo, poiché il figlio ha da fare con genitori separati e dunque con protagonisti estranei al nucleo originario), con tecnica straniante tangenzialmente racconta l’Argentina tragica degli anni Settanta – che non è solo quella funestamente consegnata alla storia che tutti conoscono, ma una trama sociale di atteggiamenti, di modi di vivere, di domande: come fa l’amicizia a coesistere con il denaro?, come si fa a “valutare” il prezzo di una vita, come accade con i sequestri di persone delle FAR o con una polizza assicurativa? Nel catalogo sudamericano che vanno costruendo le edizioni SUR, Pauls emerge ormai come uno scrittore di sicura grandezza.

(Alan Pauls, Storia del denaro, trad. di Maria Nicola, SUR, pag 240, 15 euro)

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