“Post coitum”
di Riccardo Romagnoli

Dopo il sesso, il sogno...

di / 18 gennaio 2016

Vedo i gesti precisi, calibrati, decisi, gentili, speranzosi e dubbiosi dello scultore mentre dà forma a un blocco di marmo, sento lo stridere dei denti a ogni colpo, l’elettricità che si sprigiona dai muscoli tesi, e schiocca sullo scalpello il martello, saltano pezzi di roccia che si perdono come momenti irripetibili quando, stanchi e sudati, abbassiamo la guardia e ci abbandoniamo a una forma di conoscenza misconosciuta e inconoscibile che altro non è che quella la forza che familiarmente, docilmente ci piace chiamare amore.

Vedo questa immagine fissarsi nella mente e poi sparire. La scultura va prendendo forma e le parole la scalzano, il cervello è costantemente confuso da questo gioco d’apparenze materiali e immateriali, mi persuado che quel che sto leggendo sia successo veramente negli angoli magici, oppure nascosti, di Firenze, lo sfondo di tutta la raccolta. La roccia di parole diventa sudore, odore, tatto, sapore, pensiero comunque macigno che sempre riaffiora dopo la breve, incalcolabile evasione del sesso.

La lettura, a colpi di martello, d’ogni singolo racconto è irrefrenabile e da un momento all’altro mi aspetterei di vedere emergere una forma dalle fattezze scabrose, un cazzo, una fica, un culo, una tetta, liquidi impastocchiati ovunque. E invece no, restano violente cartoline fiorentine e una malinconia incontenibile, come dopo aver letto una poesia. Perché ci vuole animo poetico per leggere Post coitum di Riccardo Romagnoli (Morellini, 2015).

Non c’è scampo, non c’è alternativa. Ci vuole disponibilità all’abbandono, confidenza, ci vuole fiducia, la stessa di quando si mescola il proprio corpo con quello di un’altra persona. Sfiniti, ci imbattiamo nella speranza, nel rimpianto, nella disillusione, nel desiderio di morte, nel ludibrio, nel gioco, nella paura, e l’ombra del futuro ci ammanta, e un velo polveroso di passato ci ricorda che siamo ancora vivi, che lo siamo certamente stati, dopo, in uno di quei momenti ormai persi.

Non so come altro scrivere di questa raccolta di brevi racconti edita – che mi pare forse riveli ancor più de Il diciottesimo compleanno (Transeuropa, 2012) le doti liriche di Romagnoli – se non per mimesi, lasciandomi contaminare, vincere.

«Ti accompagnavo parallela nella tua discesa prevista e ti ero compagna totale, serena in un soffio d’aria che respira notturno e che non ha senso. Ci scambiavamo geni intelligenti, così, senza parlare, trasmissioni e informazioni andavano e venivano da me a te, da te a me».

Non si tratta unicamente di / Non si può ridurre solamente a momenti post orgasmici d’un sesso per lo più acerbo, adolescenziale, un po’ immaturo un po’ ingenuo, quanto di cesure, lente commoventi necessarie umane, dall’insostenibile pantomima della vita che beffarda e magica, proprio in quei momenti, tenta di svelarci tutta la sua verità. O così crediamo.

«Pensai alle mie giornate autunnali, al mattino quando ci si alza per un lavoro odioso nella sua certezza di esserci, alle colazioni solitarie di caffè già tiepido, e volli che tu danzassi ancora ripetuta, non per me che ti amavo libera e fuggevole anima piumata, non per la gente che avrebbe fatto meglio a non saperti così bella di apotropaica gentilezza, ma per il gesto lussuoso che nasce interiore e non cambia se qualcuno lo coglie e lo prende, per le serie gratuite che sconvolgono controcorrente i flussi evoluzionistici che fanno vincere il più forte in quanto più adatto, per la felicità autoriflessa che guardandosi alla specchio senza vanità si crea e ricrea».

È un libro del ricordo che ci ricorda di quando più ci siamo fidati del corpo, dell’istinto, nell’eterna speranza d’amore, di salvezza, e abbiamo cercato con tutte le nostre forze poi di dargli forma, a martellate con le parole, per farcelo reale, quell’amore, vivo, e invece, ignari, forse lo uccidevamo per sempre consegnandolo all’oblio, condannandolo al solo ricordo.

«Da un limite posto quasi infinito sopra di noi oltre il nostro tempo miliardi di anni, pulviscolo soltanto sarebbe stato questo mondo fatale, clinamina di atomi digitali fuori rotta sviati. Questa voce che dicevi tu, «È caldo», sarebbe volta inesausta risuonando su sponde millenarie ai margini del cosmo tornando indietro e ritornando. Tu saresti stata nello stesso modo in cui avresti potuto non esserlo, io avrei letto e amato come se non avessi mai saputo leggere e amare. Ti baciai mentre eri ancora giovane e a me, che ero giovane uguale, compagna. Lieti ci leccavamo annuendo come i gatti fanno sui loro peli odorosi, dicendo sempre di sì col muso che sale e scende».

 

(Riccardo Romagnoli, Post coitum, Morellini, 2015, pp. 88, euro 9,90)

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LA CRITICA

Perché tutti, dopo aver fatto l’amore, abbiamo avuto bisogno di riempire di pensieri l’intenso vuoto lasciato dall’orgasmo.

VOTO

8/10

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