“Anomalisa”
di Charlie Kaufman e Duke Johnson

La solitudine dell’uomo e dei pupazzi di plastilina

di / 22 febbraio 2016

Anomalisa

L’animazione non è più una cosa per bambini da tanti anni. La Pixar lo ha messo in chiaro da un po’ di tempo, a livello di grande distribuzione, e la rivalutazione globale dei lavori dello Studio Ghibli ha consolidato questa certezza. Quest’anno i premi Oscar lo dimostrano una volta di più. Nella cinquina dei candidati al premio per il miglior film di animazione, oltre a Inside Out che vincerà, ci sono film che sono senza alcun dubbio rivolti al pubblico adulto. Su tutti, Anomalisa, film in stop-motion firmato da Charlie Kaufman e Duke Johnson.

In passato è già capitato che registi più o meno eclettici abbiano deciso di provare la strada del cinema animato, a un certo punto della loro carriera. Per lo stop motion viene subito in mente Tim Burton, o Wes Anderson con Fantastic Mr. Fox. Per la computer grafica ci sono gli esempi recenti di Robert Zemeckis (Polar ExpressA Christmas Carol) e Steven Spielberg (Tin Tin e il segreto dell’unicorno). Film che guardavano, comunque, all’infanzia come pubblico di riferimento. Anomalisa porta il discorso su un piano completamente diverso. È un film adulto, per adulti, animato da una vena profondamente malinconica, se non addirittura pessimistica.

Michael Stone è un affermato scrittore di manuali per il costumer care. Nei suoi libri insegna come migliorare la qualità dei servizi, con un costante incremento dei risultati del 90%, garantito dai lettori. La sua vita, però, non è soddisfacente. Mentre è in viaggio d’affari a Cincinnati, nell’elegante Fregoli Hotel, telefona a un vecchio amore con cui si era lasciato male dieci anni prima per cercare di vincere quel senso di vuoto che una moglie e un figlio non hanno saputo colmare, ma non serve a niente. È un incontro casuale con Lisa, una donna arrivata in città per assistere alla sua conferenza, a dargli nuovi apparenti stimoli. Forse è un nuovo inizio, forse è solo un’illusione.

Arrivando per la prima volta all’animazione in stop motion (con il contributo fondamentale di Duke Johnson, autore di corti e serie tv animate) Charlie Kaufman, lo sceneggiatore di Essere John Malkovich, di Il ladro di orchidee, del premio Oscar Se mi lasci ti cancello e regista di Synecdoche: New York, cambia molte cose del suo modo di fare cinema, in un modo che è senz’altro inatteso rispetto alle possibilità che il nuovo linguaggio sembrava fornirgli. Non è solo un discorso di tecnica, ovviamente. Il passaggio all’animazione coincide con un nuovo approccio alla scrittura. Alla complessità labirintica dei suoi film è subentrata con Anomalisa una linearità minimalista, una riduzione dell’immaginario anziché una sua espansione.

È sempre presenta la vena onirica, per non dire surreale, propria del cinema di Kaufman, ma qui, di fronte alla possibilità infinite offerte dall’animazione, a prevalere è una dimensione umana che cede solo a tratti il passo all’immaginazione più sfrenata. Certo, le premesse e il linguaggio, sono quelli già visti nei lavori precedenti, in particolare il tema centrale: la solitudine umana e l’impossibilità fondamentale della felicità nella vita, sia data dalle relazioni o dal lavoro. Il mondo di Michael Stone è abitato da un solo volto e da una sola voce oltre alla sua. Tutti – uomini, donne, bambini, sconosciuti, sua moglie, suo figlio – intorno a lui parlano con la stessa voce (un unico doppiatore, Tom Noonan in originale, Stefano Benassi in italiano), tutti hanno gli stessi lineamenti. In questo inquietante mondo di simili, che è l’idea più potente del film, si inserisce un’anomalia, Lisa, che parla con voce unica, che ha un volto diverso dagli altri. È una donna normale, nella maniera più assoluta, ma Michael vede in lei la possibilità di un cambiamento. È l’unica altra persona del mondo, la sua Anomalisa, che può sottrarlo al grigio del quotidiano.

Come nei film precedenti, come in Se mi lasci ti cancello Synecdoche, le cose tendono a svilupparsi naturalmente verso la costruzione di una gabbia in cui imprigionare l’individuo. La novità si trasforma presto in routine, il brivido della scoperta nel tepore insipido della certezza. L’ossessione diventa un luogo un rifugio. Rispetto, però, agli splendidi collassi della memoria del film di Gondry o alle architetture enormi e impossibili in cui si perde Philip Seymour Hoffman nell’unica altra regia di Kaufman (ci sarebbe anche un film tv del 2014, How and Why), Anomalisa rimane ancorato a poche dimensioni – l’aereo, il taxi, l’albergo, la stanza – aumentando il senso di prigionia claustrofobica di Michael Stone e del suo mondo in cui ogni cosa si confonde e le emozioni si perdono.

Finanziato con una campagna su kickstarter e passato in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia, Anomalisa usa l’animazione in un modo del tutto anti-convenzionale, ricercando l’imperfezione tecnica per sottolineare l’imperfezione delle vite raccontate, ricercando l’assoluta verosimiglianza del mondo umano, non una sua sublimazione simbolica.

Il messaggio di fondo, che arriva in maniera forse troppo precipitata nel finale, è che la solitudine è una condizione impossibile da aggirare per l’uomo perché ne è lui stesso la causa, con il suo egoismo. A dirlo, è un film di umanissimi pupazzi di plastilina. Ci sono almeno due momenti che possono bastare per fare cinema: Lisa che canta “Girls Just Want to Have Fun” di Cindy Lauper («I want to be the one to walk in the sun, io voglio essere quella donna»), anche in una sorprendente versione in italiano, e la scena di sesso, goffa e tenera, di un realismo assoluto e fragile.

 

(Anomalisa, di Charlie Kaufman e Duke Johnson, 2015, animazione, 90’)

 

  • condividi:

LA CRITICA

Attraverso l’animazione in stop-motion, Charlie Kaufman porta avanti la sua indagine sulla natura della solitudine umana. Anomalisa è una riflessione sulla condizione umana affidata a pupazzi di plastilina molto simili, in ogni modo, agli uomini.

VOTO

7,5/10

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio