Rifiutare un padre senza smettere di somigliargli

Parliamo di Ottavio Tondi, protagonista di “Panorama”, con Tommaso Pincio

di / 29 febbraio 2016

Panorama

Ottavio Tondi legge, senza posa, per professione e per piacere; ha acceso la miccia di un immenso successo editoriale scoprendo nel dattiloscritto della fantomatica scrittrice Gloria Stupenda un best seller assoluto. Ha scelto la strada della lettura in antitesi con il padre, un commercialista romano che quasi nulla condivide con il figlio, se non quanto di più personale, il nome Ottavio. Nient’affatto mondano, Tondi sente di essere «fuori posto con se stesso», eppure non rinuncia alla possibilità di non isolarsi, aprendo un proprio profilo sul social network Panorama, avviandosi così lungo quella via fatale che lo condurrà all’incontro con Ligeia Tissot. È con lei che scambierà per quattro anni messaggi, è di lei che proverà a intuire l’anima osservando con irriducibile attrazione l’immagine fissa del suo letto disfatto. I due non si incontreranno mai.

Con Panorama, NN Editore ha voluto inaugurare lo scorso anno la collana ViceVersa: libri in cui «un vizio o una virtù» rappresentano un punto di partenza e approdano «dove il racconto li conduce». Forse è anche così – alternando direzioni previste a quelle scelte autonomamente dai personaggi – che Tommaso Pincio ha scritto il suo romanzo. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente, e in una lunga telefonata di mezza sera siamo partiti da quello che avevamo tra le mani: Panorama.

 

Il titolo del libro è il nome di un social network – Panorama – non dissimile da Facebook, ma con la particolarità di obbligare gli utenti a condividere un proprio ambiente domestico attraverso una webcam. Penso in particolar modo al letto disfatto di Ligeia, continuamente inquadrato, che rappresenta una fessura aperta su uno spazio intimo, un’opportunità che Tondi sfrutta per spiarla, rafforzando così il legame che lo tiene stretto a lei.

Si tratta di individuare il bisogno di vedere – dunque di controllare le cose, le persone – riconoscendo in questo bisogno un tratto della sensibilità tipica del tempo in cui viviamo, ma che appartiene all’essere umano da sempre. La novità rispetto al passato è nel fatto che mentre in altre epoche lo sbirciare nelle vite degli altri avveniva leggendo di nascosto un diario, una lettera, oppure origliando una conversazione, nel nostro tempo, invece, nuovi strumenti consentono un controllo visivo, realizzando quello che una volta era un desiderio e allo stesso tempo una maledizione: diventare invisibili. Ecco, in parte, con i social network, il desiderio di vedere senza esser visti si realizza.


In qualche modo è quello che, secondo il narratore, succede anche leggendo, ossia spiamo le vite dei personaggi. Ma forse in Panorama, nel social intendo, c’è qualcosa in più.

Va detto che però in quel caso lo si fa in un contesto autorizzato, c’è un autore che ci dà il permesso di guardare. Nella realtà non abbiamo questo diritto. Sbirciamo, ma non è una pratica onorevole. Noi sappiamo cosa sia un panorama in senso proprio, è qualcosa che osserviamo in lontananza, è la possibilità che viene concessa a una persona di dominare uno scenario più grande di lui, è la condizione – diciamo così – della contemplazione perfetta. Quando ci troviamo di fronte a un panorama come lo intendiamo normalmente, cioè il dispiegamento della natura, l’umano diventa di fatto irrilevante. Possiamo vedere in un panorama delle persone, ma spesso sono talmente piccole da non contare, quello che conta è la visione d’insieme. Nel caso del social Panorama, il tipo di paesaggio è diverso, è un panorama umano, ed è la moltitudine delle persone a renderlo tale. La condizione della contemplazione perfetta, dello sguardo perfetto in cui si è soltanto sguardo, diventa invece lo sguardo del Panopticon di Bentham, dove non si sa mai se si è osservati, o meglio sorvegliati, perciò si può esserlo costantemente. Così il panorama diventa una prigione.


Dopo il titolo, il sottotitolo: Un prologo. La domanda diretta sarebbe: un prologo a cosa? La domanda è dovuta, per così dire, a una lunga attesa. Voglio dire che il racconto del primo scambio di messaggi tra Ligeia Tissot e Ottavio Tondi arriva solo nel nono capitolo. La domanda diretta rimane: un prologo a cosa?

In Panorama viene resa pubblica una corrispondenza privata, e il sottotitolo, Un prologo, è la spiegazione del fatto che il narratore offre al lettore – che non sono io, non sei tu, ma sono i lettori del mondo di Panorama – la possibilità di leggere la corrispondenza fra Ligeia e Ottavio; quindi il libro che noi leggiamo è praticamente l’introduzione a quella corrispondenza. È un po’ come quando compriamo un classico e ci troviamo di fronte a una prefazione in cui viene raccontata la vita dell’autore, i temi e lo sviluppo dell’opera.
Una fonte d’ispirazione per me sono le lettere di Kafka a Felice Bauer, la quale diversi anni dopo la morte di Kafka le ha rese pubbliche. Lì la cosa forse più interessante è che noi leggiamo solo le lettere che lui le scrisse, ma abbiamo perduto le risposte di lei. Quindi c’è tutta una parte che possiamo intuire dai toni che Kafka assume di volta in volta, e questo vuoto rende tutto più interessante.


E perdendoci in questi vuoti possiamo immaginare una nostra narrazione tenendo presente il contesto in cui vivono i protagonisti. In Panorama il contesto è fondamentalmente romano e i luoghi della città hanno un peso specifico nella vita di Ottavio Tondi: l’incidente di ponte Sisto, le puntate in macchina all’Eur, i chilometri percorsi sul Raccordo. Si ha però la sensazione che Tondi si senta fuori posto.

Tondi si sente fuori posto, prima ancora e più ancora che con Roma, con se stesso, e ancora più in particolare con la figura paterna. È il rapporto irrisolto con il padre a fare di Ottavio Tondi l’uomo che è. Ora, è vero che nel romanzo questo aspetto non viene ricordato di frequente – sembra anzi una specie di motivo di sottofondo – però spesso le cose che stanno sullo sfondo sono quelle davvero significative. Tutti i passaggi che compie nel corso della vita sono un confronto con il padre o con il ricordo della sua figura. In fondo anche il motivo per cui comincia a leggere è legato a questo contrasto. Tutto ciò si riflette anche su Roma perché Tondi cambia quartiere, lasciando la zona in cui lui identificava il mondo culturale paterno. Forse il suo non trovare un posto nella città è dovuto alla mancata risoluzione di tale conflitto.


Dunque, la quarta: «La vita non cerca veramente il nuovo, il diverso, l’inaspettato. Tende alla somiglianza, cerca ciò che può riconoscere, che ha già visto sentito annusato, cerca il ritorno, cerca uno specchio». Non ritrovandosi con il padre, con il suo carattere, con le aspettative che il padre nutriva per lui, la vita di Tondi sembra stridere.

È come quando ci si guarda allo specchio, non sempre ci si riconosce. Soprattutto più passa il tempo e meno ci si riconosce. La dimensione in cui vive Narciso, quando per la prima volta si vede e si innamora di se stesso in realtà è un mito che non ci riguarda, o meglio poteva riguardare il mondo di quando eravamo giovani, di quando avevamo un’idea del mondo non così tanto articolata da consentirci di non riconoscerci più. Quindi è vero che si cerca la somiglianza, ma quando la si trova non la si accetta. E questa cosa della somiglianza tocca le sue punte più forti nel rapporto tra genitori e figli. Genitori e figli si somigliano sempre – e ci si può somigliare anche nei modi – però possono detestarsi, perfino rifiutarsi. Chiunque sia stato giovane si è illuso di non diventare come il proprio padre. Ma poi arriva un momento in cui, rifiutando questa somiglianza, si compiono delle scelte, come fa Tondi. E in quel momento Tondi paga il conto: quella persona che giudicava così estranea, così estranea non è. Il momento in cui Tondi comincia ad andare in crisi è quando capisce che il nodo della sua vita sta proprio nell’illusione di non essere come suo padre.
Cerchiamo il diverso, qualcosa che non siamo noi, ma tendiamo a qualcosa a noi simile. È un problema non facile da risolvere, soprattutto perché somigliarsi non significa essere identici, significa avere dei tratti in comune, ma anche averne molti diversi. E in questa disarmonia si sviluppa l’energia del mondo.


Infine, leggere. In Panorama troviamo un rapporto con la lettura più che complesso, ed è un rapporto a più livelli: intimo, quando Tondi legge da solo in casa; pubblico, quando Tondi diventa protagonista di spettacoli in cui semplicemente si siede a leggere (mentalmente) su un palco, seduto su un divano; utilitaristico, quando Tondi vende un libro alla volta per poter tirare avanti.

Il rapporto con il libro che racconto credo sia comune a molti lettori. Anche la dimensione pubblica che Tondi esercita della lettura è spettacolare nel senso che non mi risulta che esista uno spettacolo in questi termini, ma quell’idea di spettacolo esiste. Il fatto di guardare un’altra persona impegnata in un’attività intima è una cosa molto diffusa, ed è forse uno spettacolo perfetto. Quanti di noi si sono soffermati a osservare il proprio partner o il proprio figlio che dorme? Poi magari è vero che nessuno oggi pagherebbe per guardare uno che legge in un teatro, ma è anche vero che quando si viaggia su un mezzo pubblico gli altri passeggeri sbirciano cosa stai leggendo. Questa inclinazione a entrare nel privato esiste eccome, e la lettura è un atto privato.

 

(Tommaso Pincio, Panorama, NN Editore, 2015, pp. 200, euro 13)

 

amazon_logo_flaneri  Acquista “Panorama” su Amazon.it

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio