“The Wilderness” degli Explosions In The Sky

Di cosa parliamo quando parliamo di post-rock?

di / 4 maggio 2016

Explosions in the sky cover album flaneri

Dopo cinque anni dall’ultimo Take Care, Take Care, Take Care, esce The Wilderness, il settimo album degli Explosions In The Sky.

Definire precisamente un genere è sempre un’operazione piuttosto complessa. Capire quali sono i margini, come e quando si può dire che un tal lavoro appartenga a un determinato universo musicale spesso non è così immediato come possa sembrare. Quando poi ci troviamo in quel macro mondo chiamato post–rock, le cose si fanno più complesse, meno nitide.  Su un aspetto però possiamo essere d’accordo: gli Explosions In The Sky sono post–rock. O almeno, gli Explosions In The Sky hanno avuto la forza di cucirsi addosso un’idea di post-rock, dandogliene una che è proprio degli Explosions In The Sky, nonostante quell’idea non avesse una vera e propria specificità. Chitarre dilatate, crescendo lenti e sontuosi, climax, brani sempre sul punto di esplodere, ordigni lanciati verso il pubblico – This Will Destroy You, God Is An Astronaut, ad esempio, ma anche gli Iliketrains.

Un gruppo che storicamente viene inserito nel contesto post-rock, i Godspeed You! Black Emperor, non dovrebbe essere magari essere definito come post–prog? I Sigur Rós, un fenomeno che ha travalicato confini musicali, linguistici, culturali con brani allo stesso tempo tortuosi e accessibili, che hanno sì dei rimandi al post–rock, ma che alla fine non pare necessario chiuderli in questa definizione, può definirsi tale? Forse i Mogwai: ma come interpreterebbero un pezzo come “First Breath After Coma” i quattro scozzesi, ad esempio?
Fino a tornare agli albori: il post-jazz lugubre dei Bark Psychosis; gli Slint, e prendiamo come esempio la sofferta ballata “Washer” in Spiderland; per non parlare degli Stereolab – cosa c’entra Transient Random Noise Burst With Announcements con le evocazioni oniriche di The Wilderness? Insomma: tutto questo può essere avvicinato all’inclinazione degli Explosions In The Sky? È chiaro quindi che tentare di trascrivere una grammatica esatta di ciò che è il post–rock può risultare un’azione votata al fallimento.

The Wilderness continua senza difficoltà sulla scia del suo predecessore, ma forse sembra ancor più a suo agio se collegato a The Earth Is Not A Cold Dead Place, l’album che probabilmente più di tutti rappresenta l’estetica degli Explosions In The Sky e del post–rock alla Explosions In The Sky. Forse The Wilderness, per alcuni aspetti, risulta ancor più maturo di quest’ultimo, che iniziava splendidamente con  la già già citata “First Breath After Coma” – una partenza esemplare, un brano post–rock se ce n’è uno, ma con una chitarra che traccia una melodia che rimane in testa come un pezzo pop. Quest’album lasciò di fondo forse un senso di incompletezza, che invece  The Wilderness non lascia.

I loro lavori hanno sempre richiamato immagini eteree; loro sono sempre stati grandi compositori di colonne sonore per lande desolate, distese di ghiaccio, viaggi nello spazio, galassie infinitamente lontane. Anche qui lo sono, e sarebbe curioso se non lo fosse, ma a differenza del passato, sembrano più vicini a noi, meno sfuggenti. Qui, con ferocia, ne esce – con l’eco dalla sezione ritmica di “Wilderness” che sembra provenire dalle viscere del mondo, “Logic Of A Dream” che  stravolge se stessa come sanno fare i sogni, i presagi nefasti di  “Disintegration Anxiety”,  fino all’approdo finale con “Landing Cliff”, la più più spirituale dell’intero album – una colonna sonora per la natura selvaggia dell’essere umano.

Il 30 Maggio a Roma (Orion) e il 31 a Segrate (Circolo Magnolia), sarà possibile andare ad ascoltarli dal vivo.

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LA CRITICA

Gli Explosions In The Sky si confermano su livelli altissimi ambasciatori di un genere che è una moltitudine di generi, ma che loro sono riusciti a fare proprio. The Wilderness è il loro disco più maturo.

VOTO

8/10

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