“L’altra mammella delle vacche amiche” di Aldo Busi

Il libro che prosegue l’autobiografia non autorizzata di "Vacche amiche"

di / 16 maggio 2016

L’altra mammella delle vacche amiche di Aldo Busi copertina Flanerí

Aldo Busi deve sempre esagerare per far dimenticare le brutture della propria e altrui vita. Sceglie di essere, in L’altra mammella delle vacche amiche (Marsilio, 2015), ancora una volta, risolutamente anticonformista e scandaloso. Ma venderebbe l’anima per le sue «vacche amiche».

Si autocelebra grande scrittore incompreso e invidiato, «uno che è la coerenza tra vita e opera come l’Italia non ne ha mai prodotto e che andrebbe letto da vivo senza aspettare l’estrema franchigia che ce lo renda usufruibile», mentre tutto intorno a lui vede l’arte sfigurata da inettitudine e dilettantismo, superficialità e mode di una «barbara società di arcaico pregiudizio». Nei suoi bellicosi eccessi verbali, si alternano riflessioni sui propri turbamenti sentimentali e sulla propria solitudine, quel suo stare ai margini della società per scelta o per dannazione, e osservazioni acutissime sul proprio mestiere e sulla sua libertà preservata «non dalla schiavitù del lavoro, ma dalla schiavitù imposta e marchiatati addosso da troppi datori di lavoro».

Il suo stream of consciousness è un alluvione potente, di quelli che trascina via alberi e auto, che smuove fango, tanto fango. Aldo Busi esprime eccentricità e irrequietezza. Avanza come uno schiacciasassi che asfalta tante care vecchie cose: la tecnologia e il progresso, le toghe colluse e i giudici idioti che applicano «leggi demagogiche, tendenziose, obsolete fino all’idiozia e ormai criminogene», i processi sommari e una «democrazia che ormai non c’è più nemmeno a parole», il femminicidio e l’integralismo islamico, ogni religione e setta che «non significa altro che guerra alla guerra», i politici mafiosi e la spettacolarizzazione del dolore.

I movimenti del pensiero in L’altra mammella delle vacche amiche si mostrano spesso limpidamente sarcastici con la sua caratteristica tendenza allo slittare imprevisto dei discorsi in altri discorsi, mentre l’oggetto testo tende a presentarsi come un frutto essiccato, carico di umori sempre diversi.

Lo fa con uno sguardo ruvido, talvolta disturbante ma profondo nell’interpretare terremoti emotivi e nel palesare orrore del quotidiano celato dietro la maschera del quieto perbenismo. È bello ciò che è irregolare, incompiuto, assurdo e ambiguo.

L’autore vive e desidera relazioni al limite: qualcosa di più profondo, misterioso o impegnativo di una semplice conoscenza. Il rapporto tra due amici è il più coinvolgente che esista e, almeno in teoria, quello meno definibile in termini di confini: «Io ho bisogno di un amico nel momento del superfluo, mio o suo, ognuno felice dell’abbondanza, dell’allegria, del successo, della gioia, degli affetti, degli amori dell’altro».

Aldo Busi è un analista spietato delle debolezze, ipocrisie, egoismo di cui ogni essere dà prova. Polemista inesausto, attaccabrighe compulsivo, agitatore, è sensibile alle dissonanza ma soprattutto ai difetti. Le ferite dell’animo, proprio come quelle del corpo, inducono ad assumere le posture che fanno avvertire meno dolore. Così Busi ha imparato dalle frustrate dell’infanzia a difendersi con una estrosa vitalità, un graffiante senso dell’umorismo nei confronti di una umanità definita «specie infestante».

Aldo Busi è la dimostrazione che si è capaci di sopravvivere al dolore e che questo può essere incanalare e trasformato in creatività. Aldo Busi è un guerriero della parola, determinato e qualche volta feroce. Non si arrende alle sue fragilità, non si piega a nulla, pagando il prezzo più alto. Lo si vede nelle sue amicizie soprattutto femminili: «la brunetta intellettuale milanese», «la “puttanata caraibica”», la dottoressa Olé e soprattutto la Miriam de Mortagli. Attraverso la corrispondenza con quest’ultima, vizi e virtù trovano una loro definizione e l’eccellenza linguistica è data come espressione di eccellenza etica.

È follia, quella di Busi. Ma c’è del metodo pur nell’asistematicità di una prosa paradossale, iperbolica, efferata e cinica. La lingua di Busi non è solo artificio linguistico. È anche il mezzo attraverso cui formare tutto un sistema di valori per i nostri tempi anacronistici: «una scrittura involontariamente aforistica, immaginativa, sapienziale terra terra, con sintesi fulminee e fulminanti».

Da libertario non si lascia imbrigliare in nessuna ideologia. Da esistenzialista sui generis diffida di questo nostro straziante e compassionevole bisogno di consolazione. Per questo Busi predilige la solitudine. Nel suo piccolo spazio di realtà è solo e pauroso esclusivamente di perderla.

 

(Aldo Busi, L’altra mammella delle vacche amiche, Marsilio, 2015, pp. 468, euro 18)

 

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LA CRITICA

Il voto per questo «involontario principe della Letteratura senza agente e senza mercato e senza editore» è il risultato della media tra la qualità della scrittura e la poca originalità di una scelta editoriale che vede l’ampliamento della «autobiografia non autorizzata» precedente.

VOTO

7/10

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