“Magnifica”
di Maria Rosaria Valentini

Un romanzo di bellezza arcaica

di / 10 giugno 2016

Magnifica copertina Flanerí

Cercavo un libro-tana. Sì, esattamente quello. Non un libro-scossa, e nemmeno un libro-ponte, uno di quelli pignora-pensieri che hanno solo il compito di traghettarti altrove. Cercavo la necessità di un bosco (non solo narrativo), le feritoie e gli orli di piante innominate e il bisogno infettivo di sentirmi analfabeta. Di stare ad ascoltare, arenata in mezzo ai rovi, un libro completamente amniotico, dove non dimenticarmi di niente, dove la perturbazione potesse accucciarsi e poi riecheggiare. E ho trovato Magnifica di Maria Rosaria Valentini (Sellerio, 2016). Matassa uterina. Storia composta da una donna e da tutte le donne di cui parla. Vicenda lunga, snodata su tre generazioni femminili.

Sul dorso appenninico, un paese imprecisato ospita a distanza di tre parti Eufrasia, Ada Maria e appunto Magnifica, che non è solo bella e deve per forza chiamarsi così.

La vita esterna in quello stomaco bussa a malapena: «Qualche acacia resiste ma a dominare è l’odore di calcinacci, di pietre, di sabbia, di terra franosa e di ferraglie. […] La fine della guerra è una curva quasi pigra di carri armati che se ne vanno,  mentre le vie tremano ancora. La gente ride e piange insieme. Alcune voci scoloriscono, altre riemergono da silenzi sotterranei». È un distretto indifferente, dipartimento di case avvizzite e vigili cortecce, dove è raro che ci si spettini d’ignoto. Ma non è vero che non succede niente. Succede quello che deve. Si continua a nutrire la regola.

A fare quello che natura si aspetta. Si nasce abbastanza da non svanire, si mangiano i giorni dentro le stesse scodelle, ci si consegna in fretta al destino di figliare e s’invecchia addosso alla stagione dei più giovani. Un passo più sfranto per ogni loro conquista. Eufrasia, il capitolo primo di una pista matrilineare, è una lisca appassita, una «spina christi». Moglie di Aniceto che l’ha sfiorata solo per ingravidarla, madre rassegnata di Ada Maria e di Pietrino.

Recintata di non detti, nei corredi minuti dei suoi gesti. Viene tradita e lo sa bene. E non fa altro che sentirsi sollevata, più leggera del suo peso quasi assente. Dispensata dall’onere d’incassare mani scomode per tutti i suoi angoli. Teresina, donna di polpa e d’amore più grasso, glorifica il compito di animare il suo letto. Ha conosciuto tanti uomini, ma ad Aniceto si dona davvero. Poi la morte arriva, quella stessa morte che Pietrino respira tra toraci di tombe, nel suo lavoro di custode al cimitero. La medesima ombra che falcia Eufrasia, incapace di svegliarsi dalle solite lenzuola.

Ora la strada è di Ada Maria e quella mulattiera la porta a La Faggeta: «…i faggi affiancati l’uno all’altro, disciplinati, muti, con i rami che abbozzano al verde di un nuovo fogliame». In mezzo agli spasmi di quelle creature, ce n’è una di stracci che aspetta lei. C’è un soldato tedesco fuggito da troppo tempo per ricordarsi quanto, c’è linfa di gambe e di baci impiastrata di siepi, quella che Ada Maria non ha mai sorseggiato.

C’è l’incontro che la fa adulta. Che la fa madre di Magnifica. C’è solo questo, il futuro nel ventre che mastica il seme. E il secondo capitolo sfocia nel terzo, ineluttabile come un giro di vento. Come una fioritura in quell’appuntito mese di cielo. Magnifica sboccia bianchissima e senza padre. La morte si siede sempre a tavola, in paese non c’è spazio per tanto altro: sepolture, appassimenti e poco più in là qualche germoglio.

Riti funebri e casse di legno, mantelline di pizzo e nuovi pianti da battezzare. E Magnifica è già grande, già in grado di r-accogliere. Non solo più funghi, muschi o vesciche. Ma un altro battito, un altro calore. La sequenza di donne si ferma qui, perché dentro Magnifica sta gemmando un maschio. Ma questa storia pulsa sempre di maternità: quella della terra, dell’umido benigno dei suoi frutti, dei suoi passaggi ineludibili. Quella cordonale, concepita nella carne e quella acquisita e cucita d’affetto, come nel caso di Teresina, che guadagna due figli per la docile forza di tenerseli accanto, anche se non sono suoi. È un romanzo femmina, di attraversamenti, sensi primordiali, testimoni in transito, come avviene per esempio in Ovunque io sia di Romana Petri, in Tanta vita di Alejandro Palomas, ne Il conto delle minne di Giuseppina Torregrossa o ancora ne Il cuore cucito di Carole Martinez, meraviglia attualmente fuori catalogo.

Un romanzo tutto scrittura, pastoso, vibrato, plasmato da un’autrice di poesia che traccia un fosso e lo riempie di foglie tiepide, di una voce che ti spiega gli alberi (siano cedri oppure arbusti), che sa leggere le vene dei cespugli. L’unica di cui a volte c’è bisogno, appena prima della pioggia.

 

(Maria Rosaria Valentini, Magnifica, Sellerio, 2016, pp. 274, euro 16)

 

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LA CRITICA

Maria Rosaria Valentini ha realizzato un romanzo denso di umore materno: femminile, lirico, di bellezza arcaica, dove tre donne sono la sinfonia di uno spartito spietato come la legge di natura.

VOTO

8,5/10

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