Il sadomasochismo e “Histoire d’O”

Un breve excursus sul masochismo femminile, tra narrativa e psicanalisi

di / 6 ottobre 2016

Il sadomasochismo e Histoire d’O su Flanerí

…Ecco come ti amo… Amare? No, adorare, idolatrare… ah!
Alfred de Musset

 

Si chiama O, le sue palpebre sono ombreggiate, le labbra rosse e persino l’areola dei capezzoli e gli orli delle labbra intime sono dipinti con il rossetto. Il solco fra le cosce, i peli del pube e delle ascelle sono intrisi di profumo. È nuda, oppure ha la gonna arrotolata e assicurata con una cintura in modo che il ventre e le terga rimangano scoperte. I suoi seni sono offerti in corsetti di seta. Ha il divieto di chiudere le labbra e di accavallare le gambe perché la sua totale disponibilità sia palpabile al primo sguardo. È bene che tenga la testa bassa senza mai guardare negli occhi gli uomini che di lei si servono, un gesto di tale insolenza non le sarebbe perdonato. In presenza di un uomo le è permesso di aprire la bocca solo per gridare o per accarezzare. Viene percossa con la frusta di cuoio, con lo scudiscio o con la sferza bagnata. Ha perduto il diritto di sottrarsi all’uomo e né le sue mani, né il suo seno, né i suoi orifizi le appartengono, perché in qualsiasi momento può essere esplorata e penetrata. O si considera fortunata di contare abbastanza per un uomo, tanto da permettergli di godere oltraggiandola, «come i credenti ringraziano Dio di umiliarli». Dorme in un letto coperto da pellicce e il ricordo delle frustate la lascia serena.

Histoire d’O è un romanzo erotico pubblicato in francese nel 1954 sotto lo pseudonimo di Pauline Réage. Solo dopo quarant’anni l’autrice Anne Desclos, già conosciuta con lo pseudonimo di Dominique Aury, confessò di aver scritto questa storia. Anne fu amante dello scrittore Jean Paulhan, più anziano di lei di vent’anni, il quale scrisse la prefazione a Histoire d’O: “Felicità nella schiavitù”. Il romanzo fece scandalo e, sebbene nel 1955 avesse vinto il Prix des Deux Magots, furono avanzate accuse per oscenità nei confronti dell’editore Jean-Jacques Pauvert e fu imposto il divieto di pubblicizzare il libro per diversi anni. Alla pubblicazione seguì un acceso dibattito riguardo alla sua paternità: era da attribuire effettivamente a una donna – e allora chi celava lo pseudonimo Réage – o invece era stato scritto da un uomo? Qualcuno lo attribuì allo stesso Paulhan, da altri fu ipotizzato che fosse stato scritto a quattro mani dai due amanti.

O viene portata dall’uomo che ama, René, nel castello di Roissy dove è educata, mediante violenze sessuali, psicologiche e fisiche, all’obbedienza. Molti uomini dispongono di lei, che sopporta le sevizie facendo leva su un pensiero più grande e edificante: il suo amore incondizionato per René. O si abitua al dolore e le continue umiliazioni diventano per lei fonte di orgoglio e di piacere. Il suo corpo è mercificato e, con il consenso di Renè, anche altri uomini approfittano dei piaceri sessuali che lei offre. Gli orgasmi che riesce a provare in tali circostanze provocano in lei un profondo senso di colpa. René rappresenta, in fondo, una figure debole e romantica rispetto a Sir Stephen, cui O sarà ceduta in segno di ammirazione. Il nuovo padrone, che ha realmente l’indole del sadico, la lascerà alcune settimane sotto la tutela della signora Anne-Marie, che dovrà forgiarla in modo da rendere la sua obbedienza una dedizione inerme e totale. Qui O è obbligata a indossare un bustino a stecche di balena che le viene stretto sempre più, in modo che, alla fine del suo soggiorno, sarà possibile avvolgere la sua vita con le dieci dita. O viene marchiata a fuoco e incastonata da anelli siglati in modo permanente, perché non si possa più dubitare della sua appartenenza a Sir Stephen.

Il romanzo segue la metamorfosi di O: da fotografa di moda in carriera con celate tendenze masochiste a una femmina senza più desideri né ambizioni se non quella di soddisfare l’amante-padrone e, qualora lui ne faccia richiesta, chiunque altro. Esistono, però, altri due finali di Histoire d’O: secondo una versione O torna a Roissy e, come ha già fatto René, così anche Sir Stephen la abbandona. L’altra versione racconta che O, con il consenso dell’amante, che di lì a poco l’avrebbe lasciata, si lascia morire.

O è un nome altamente simbolico che richiama l’idea di un buco penetrabile, sempre disponibile e al servizio dell’uomo; uno zero e quindi un niente, come la masochista si sente e ama sentirsi, poiché non accetta di avere una propria identità; una linea che si ricongiunge con se stessa come l’infinito, una non esistenza; il tondo perfetto del grembo materno; un contenitore impersonale messo lì perché l’uomo si svuoti.

Una componente emblematica ruota anche intorno allo pseudonimo che fu scelto dall’autrice per la pubblicazione di Histoire d’O. È forte, infatti, l’assonanza fra Réage e “réagir”, e reagire è esattamente l’opposto di quanto si addice al masochista, che invece si abbandona al volere altrui e desidera esserne schiavo. Maria Marcus, nel saggio Masochismo: una malattia particolare (Savelli, 1979), ritiene che la “reazione” cui si riferisce Anne Desclos (in arte Réage) sia da intendere come la reazione contro l’idea occidentale democratica secondo la quale «tutte le persone sono nate libere e uguali e queste libertà e uguaglianze non devono essere soppresse». In Histoire d’O, infatti, si afferma il contrario: esistono persone predisposte alla disuguaglianza e alla non-libertà, che solo dedicandosi alla schiavitù e alla sottomissione potranno essere felici. «L’ostacolo era […] il fatto che René la lasciasse libera, e lei detestava essere libera. La libertà era peggio di qualsiasi catena. Essere libera la separava da René».

Alberto Moravia, nella prefazione alla prima edizione italiana di Histoire d’O, fa un parallelismo tra il masochismo esplicito del romanzo e il masochismo che si cela dietro al concetto stesso di “bellezza” e che, in particolare, caratterizza il mondo dell’alta moda e di conseguenza i modelli che da essa derivano. Le immagini di donne avvenenti, giovani e inespressive di cui sono piene le riviste, esaltano una bellezza “oggettuale”, “cosale”. «La vita reale delle donne-cose delle riviste di moda è la schiavitù erotica», afferma Moravia, secondo il quale Histoire d’O nasce per rappresentare il rapporto tra i meccanismi dell’alta moda e la società neocapitalista.

Del tutto diversa nel timbro è la prefazione che fece lo scrittore Jean Paulhan alla prima versione francese del romanzo. Egli sembra accogliere con grande compiacimento l’idea di un ritrovato masochismo della donna, e si meraviglia che il concetto di felicità nella schiavitù possa sembrare ad alcuni un’idea nuova. Alla soppressione del diritto di vita o di morte nelle famiglie, delle punizioni corporali nelle scuole, dei mezzi correttivi applicati sulle mogli, attribuisce una colpa: come se l’eccessiva mitezza che si riscontra nei micro-contesti sociali avesse portato ai bombardamenti col napalm e alle esplosioni atomiche. Paulhan è lo stesso che afferma di invidiare le donne poiché a loro è concesso di somigliare tutta la vita ai bambini e perché «una donna è esperta in mille cose che mi sfuggono. In generale, sa cucire. Sa cucinare. Sa come disporre un appartamento, e quali sono gli stili che non vanno d’accordo (non dico che faccia tutto questo alla perfezione …). E le sue capacità non si fermano qui. Si trova a suo agio coi cani e i gatti…»

Rabbrividisco, oggi, a leggere le dichiarazioni di Paulhan che dà voce al maschilismo peggiore, quello di chi ama le donne e amando le disprezza. Ma qualunque donna, come me, si sentirebbe punta nel profondo o, invece, la sensazione di appartenere integralmente a un uomo, in modo onnicomprensivo e solo come un oggetto può fare, è una sensazione capace di lusingare?

«“Prima di partire, vorrei farti frustare” disse “e te lo chiedo, non te l’ordino. Accetti?” Accettò. “Ti amo” ripeté lui».

Della cultura maschilista sono portavoce non solo uomini, ma anche donne. Helene Deutsch fu una psicanalista, diretta allieva di Freud, che sin dagli anni venti si occupò dell’identità femminile. Secondo la Deutsch il coito è vissuto da ogni donna come un atto masochistico e si conclude a distanza di nove mesi con il parto, che lei chiama «un’orgia di piaceri masochistici». La deflorazione è dolorosa, così i cicli mestruali, e il masochismo, che per la psicanalista è insito nella natura di ogni donna, è uno scudo protettivo che le permette di accettare il dolore per il piacere dell’uomo. Ancora la Deutsch si sbilancia affermando che una donna che abbia un «eccesso di intelletto» e che ne faccia uso, sarà «il tipo di donna più infelice che possa esistere, perché […] spesso è un perfetto uomo, ma generalmente incompleto». Intelletto e ambizione, dunque, sarebbero nettamente in contrasto con la femminilità. All’interno di questa dinamica l’amore per il padre celerebbe un desiderio di castrazione da parte della figlia che, inibita, sarà costretta a tornare al suo ruolo passivo. Prendere l’iniziativa è un atteggiamento che, a dire della Deutsch, contraddice le leggi biologiche e psicologiche, e si fa largo nella donna moderna a causa di un originario «complesso di mascolinità».

«Non mi ama, perché non mi picchia più, l’eroina e la puttana, sono tutte felici o infelici secondo il grado di masochismo femminile utilizzato e assimilato», afferma la Deutsch.

Janine Lamp-de Groot scrive L’evoluzione del complesso edipico nelle donne quattro anni prima della pubblicazione del saggio di Freud La sessualità femminile (1931), e tratta della fase pre-edipica, del complesso di castrazione e dell’invidia del pene. Non appena la bambina accetta di essere «un’evirata», metabolizzando l’inferiorità fisica che le deriva dal fatto di non possedere il pene, il suo oggetto d’amore non è più la madre, con la quale ora invece si identifica, ma il padre. Il desiderio del pene si trasforma in desiderio di un figlio e il piacere della maternità diviene l’elemento di soddisfazione che rende possibile e necessario l’atteggiamento masochista. La femminilità stessa, a suo dire, è frutto di un’umiliazione narcisistica e per questo, afferma la Groot, «nella donna passiva, puramente femminile, non esiste Super-io».

Secondo Marie Bonaparte il complesso di virilità si fonda su radici biologiche: la clitoride della donna somiglia al pene, e la donna non è altro che un organismo maschile il cui sviluppo si è arrestato prima, sino a congelarla in uno stato ibrido fra l’uomo e il bambino.

Le autrici che finora ho nominato non hanno messo in discussione le pietre miliari freudiane – seppure in alcune affermazioni specifiche se ne distaccano – affermando anch’esse che la femminilità non è originaria, ma nasce da un complesso nei confronti del maschio. Nulla di nuovo se pensiamo alla creazione di Eva, la prima donna: «Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all’uomo, una donna e la condusse all’uomo”.

Karen Horney, psicanalista tedesca, scese in campo contro Freud nel 1922 durante il Congresso Internazionale di Psicoanalisi di Berlino – che vedeva Freud stesso alla presidenza – esponendo la sua tesi contenuta nell’articolo Sulla genesi del complesso di castrazione nelle donne. La Horney rileva come il masochismo, non solo sessuale ma anche psicologico e sociale, sia una protezione resa necessaria da un contesto culturale in cui le donne sono costrette a identificarsi con ruoli impossibili. «C’è da stupirsi della invidia intensa che l’uomo prova per tutto ciò che ha a che fare con gravidanza, parto, allattamento, maternità. Evidentemente è l’uomo, al contrario di quanto si pensa, che ha bisogno di umiliare la donna».

Torno ora alla mia O, che ha atteso legata e fremente che terminassi questo breve excursus sul masochismo femminile nella psicanalisi, e ora si aspetta che io la colpisca con la frusta oppure che, senza mostrarmi debole, la ami. La schiavitù l’ha resa schiava, ma O non è passiva e tenta di manipolare il padrone in modo che esso la ami, utilizzando a suo favore la posizione di subalterna. Anche lei, verso la fine del romanzo, è costretta a frustare e si mostra capace di provare piacere dal dolore altrui, oltre che dal proprio. I personaggi maschili di Histoire d’O hanno la sola funzione di porre O al centro, come perno di un meccanismo doloroso che le gira intorno. «O non aveva mai compreso […] il groviglio contraddittorio e costante dei propri sentimenti: amava l’idea del supplizio, mentre lo subiva avrebbe tradito il mondo intero per sfuggirvi, quando finiva era felice di averlo subito, tanto più felice quanto più era stato lungo e crudele». Il dolore fisico e l’umiliazione sono al servizio di O, non è O al servizio dell’uomo. Il maschio è il braccio meccanico che agita la frusta nell’aria e le scalfisce la carne, il piacere è quello di O e sa provarlo solo soffrendo. Maria Marcus, con la consapevolezza di una donna che è masochista e femminista al contempo, ha affermato che O «è la protagonista e tutto è stato messo in scena per lei. Gli uomini sono solo delle comparse nel sogno, sono un mezzo necessario per dare a lei la possibilità di darsi».

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