“Relaxer” degli Alt-J

Finalmente ce l'hanno fatta i quattro di Leeds?

di / 9 giugno 2017

Fin dall’esordio con An Awsome Waves, attorno agli Alt-J si è sempre sviluppata un’attesa spasmodica, folle, esagerata. L’hype. Gli Alt-J – non pare un azzardo sbilanciarsi in questo modo – fino a quest’ultimo Relaxer sembravano essere la rappresentazione concreta del significato di hype. Il godere dell’attesa proprio in quanto attesa di un qualcosa, lasciando ai margini il cosa si aspetta – un atteggiamento che in un modo o in un altro sta modificando il rapporto artista-pubbico, rendendo di fatto logorato dal tempo anche un album uscito da pochi mesi, se non addirittura settimane. La forza del quartetto inglese è sempre stata in ciò che precedeva l’uscita dell’album, è sempre risieduta nel pre, nei mesi e giorni che separavano l’annuncio del nuovo lavoro e l’uscita del nuovo lavoro. Negli articoli, nei commenti, nelle discussioni, il cosa era sostituito dal quando . La data di uscita offuscava (e offusca tuttora) il lavoro in sé. Un fervore che aveva e ha le basi in un atteggiamento profondamente approssimativo.

La questione ruota attorno, infine, a ciò che poi gli Alt-J producevano. È vero che i social influiscono sulla percezione che si può avere di un gruppo, ma il punto fondamentale è stato che i primi due album avevano delle carenze lampanti. Con An Awsome Wave, del 2012, erano la Next Big Thing. Si parlava di nuovi Radiohead. Mischiando pop, hip hop, trip pop, soul, era nato il nuovo gruppo che avrebbe stravolto la musica pop negli anni Dieci. Quello che ne uscì fu un album con delle buone canzoni, piacevole – e chiaramente è difficile comporre un album piacevole -, ma claudicante, non all’altezza di ciò che si diceva. Ciò che girava attorno agli Alt-J viaggiava a un’altra velocità rispetto a ciò che gli Alt-J suonavano realmente. Un misto di facile fruizione e intuizioni sofisticate – in Man Alive dei sottovalutati Everything Everything può esserci quello che si dice ci sia negli Alt-J. An Awsome Wave era un insieme di cose che ne aveva fatto i paladini di un mondo indie filtrato da superficialità e leggerezza. Il successivo This is All Yours, poi, sembrava li avesse bollati come nuova moda del momento (esempio lampante degli ultimi anni, i Mumford & Sons). Il loro secondo album, infatti, mostrava un gruppo che auto citava sé stesso e, tristemente, si esibiva in un’auto parodia. Avevano trovato il trucchetto e lo perpetuavano nelle loro canzoni.

Quindi Relaxer. Ecco, Relaxer è altro. Sono sempre gli Alt-J, ma sono altri Alt-J. Relaxer, finalmente, ci mostra un gruppo che può essere preso sul serio. Via tutti i discorsi su hype e attesa. Questa volta oltre all’attesa, c’è qualcosa. Riprendendo i Radiohead, nonostante non parliamo di un salto come quello da The Bends a Ok Computer, i quattro di Leeds compiono un passo importante verso un percorso che comunque li porterà a incidere sulla musica contemporanea, non solo per discorsi extra musicali.

Lo si capisce dall’intro del primo pezzo, “3ww”, dove i Massive Attack sembrano reinterpretare “The End” dei Doors, che da il via a una canzone in continuo mutamento, eclettica, dove voce e strumenti cambiano continuamente registro mantenendo un’invidiabile uniformità. “In Cold Blood”, dove i vecchi Alt-J suonano con la consapevolezza dei nuovi Alt-J, anticipa il momento più alto di Relaxer, “House of the Rising Sun”. Qui i quattro di Leeds prendono il testo dell’omonima canzone degli Animals, lo cambiano qua e là, e scrivono il loro miglior pezzo di sempre. Classe purissima in  uno di quei brani dove sembra che abbiano sintetizzato il mondo, dove la chitarra e i synth si muovono con l’intensità dolorosa della marea notturna che si infrange sugli scogli. La sporca “Hit Me Like That Snare” presa singolarmente ha una sua forte dignità, ma inserita in Relaxer ricorda – sempre con le dovute distanze – quella che “Electioneering” fu per Ok Computer: un brano che, quantomeno musicalmente, risulta completamente fuori contesto. “Deadcrush”, “Adeline” e “Last Year” sono il trittico che anticipa il finale: la prima, sorretta dalla cupezza dei bassi si apre in un ritornello fortemente alla Alt-J; la seconda, altro pezzo di classe purissima, mostra un crescendo che dall’arpeggio iniziale mischia un po’ alla volta batteria e archi – la grandezza sta nella capacità della voce di non alterare la dinamica, di rimanere neutrale, non facendosi trasportare dagli strumenti che piano piano raggiungono il climax; la terza è un brano diviso in due parti: nella prima, il canto funebre di Joe Newman si chiude con «December, you sang at my funeral», nella seconda sembra irrompere Vincent McMorrow con la sua acustica e il suo new folk. Chiude “Pleader”, dove si sente un tentativo degli Alt-J di rifare un qualcosa di corale stile The National (“Vanderlyle Cribaby Geeks”).

Relaxer, pur non riuscendo ad essere continuo, è il punto di svolta per la carriera degli Alt-J. Il nuovo punto di partenza. Con Relaxer, probabilmente, ci troviamo nell’anticamera della loro definitiva consacrazione.

(Relaxer, Alt-J, Alt-Pop)

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LA CRITICA

Dopo il dimenticabile This is All Yours, gli Alt-J fanno un importante passo in avanti per la loro carriera. Manca ancora qualcosa, ma con Relaxer ci siamo quasi.

VOTO

7/10

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