Gli Ex-Otago, l’itpop e Sanremo

A proposito di “Corochinato”

di / 20 febbraio 2019

copertina di corochinato su flanerí

Fino a In capo al mondo, gli Ex-Otago erano un gruppo che sonnecchiava nell’humus dell’underground musicale italiano. Nonostante fosse un buonissimo album, non riusciva ad aprirsi a un pubblico più vasto con un suono che si discostava da quello contemporaneo, andando a flirtare con i primi Tiromancino. Nel 2016, invece, la svolta: Marassi riusciva a inserirli a pieno titolo in quel calderone che è l’itpop. Era proprio il taglio dei pezzi che cambiava e riusciva a essere metabolizzato da un mercato ampio: Marassi era un lavoro che oscillava tra l’estetica Thegiornalisti e quella dell’universo creato da Calcutta, con la voce sghemba alla Jovanotti che caratterizzava le canzoni.

Per riuscire a emergere, quindi, è stato necessario cambiare verso un modello consolidato in questi ultimi anni. È chiaro, ed è retorico ribadirlo, che il mercato italiano, oggi, oltre a rap e trap (e ai loro meticci, Carl Brave) si nutra di certe sonorità e di certe tematiche. E gli Ex-Otago l’hanno capito.

Dopo il 2016, dopo la diffusione a livello nazionale, oggi, nel 2019, la band di Genova torna con Corochinato.

Tornano, soprattutto, dopo l’esperienza di Sanremo. L’Ariston gli ha regalato un quattordicesimo posto e la possibilità di farsi apprezzare da chiunque abbia passato un po’ di tempo su RaiUno durante la prima settimana di febbraio. Gli Ex-Otago che, dall’anonimato della gavetta, passando per l’itpop, arrivano in diretta nazionale, sono l’emblema del sogno americano legato alla musica di questi anni. Complici anche gli Afterhours che, con la loro partecipazione a Sanremo nel 2009 con Il paese è reale, hanno aperto quella crepa che separava l’indie dal mainstream – rapporto cambiato con I Cani e ribaltato completamente con Calcutta. In merito alla band milanese e soprattutto a Manuel Agnelli, pensando poi a come sia mutata la sua figura, è interessante tracciare una linea che lega Sui giovani d’oggi ci scatarro su, dall’album Hai paura del buio?, e Sui giovani d’oggi, da Marassi, per avere anche solo un’idea di come siano cambiati gli orizzonti.

Ma gli Ex-Otago non sono gli ultimi arrivati: con Marassi, nonostante tutto, avevano raggiunto un certo equilibrio tra qualità e compromessi. Nonostante la scrittura non fosse eccelsa e i pezzi non si distinguessero per particolare ingegnosità, il gruppo genoano era riuscito a scrivere un album interessante.

Corochinato arrivava dunque in un momento favorevole. Gli Ex-Otago potevano fare il vero salto di qualità, avendo dalla loro parte l’età, l’esperienza, la coscienza. C’erano i presupposti per ascoltare un lavoro maturo e denso.

Invece, l’impressione è che quest’occasione sia stata perduta e che la band ligure sia arrivata scarica. Corochinato è un lavoro con pochissimi spunti importanti, che si poggia sul suo predecessore tentando di ripercorrerlo, riuscendo però a tirare fuori solo qualcosa di amorfo: un album scialbo.

Peccato, perché il brano con cui hanno partecipato a Sanremo, “Solo una canzone” sarebbe potuto essere l’apripista ideale per avere il meglio dagli Ex-Otago. Corochinato parla della nostalgia e di ciò che non tornerà più (“Bambini” ne è l’emblema), affrontati come farebbe un Guccini che tutto a un tratto non sa più come fare il suo lavoro. La soft dance di matrice pop alla Coldplay permea i dieci brani (“Tutto bene”, per esempio), lo spettro di Tommaso Paradiso con il suo nichilismo da aperitivo sui Navigli si aggira tra i ricordi di Maurizio Carucci, un menefreghismo alla Vasco Rossi diluito in una canzone di Coez spunta di tanto in tanto (“Questa notte”). Corochinato è questo e poco più.

Gli Ex-Otago si confermano nuova-vecchia promessa mai mantenuta completamente: mai troppo coraggiosi per essere loro stessi, mai troppo asserviti per essere altro da loro.

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LA CRITICA

Dopo Marassi, gli Ex-Otago erano chiamati alla prova della maturità: Corochinato, però, si rivela un album scialbo.

VOTO

5/10

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