Dietro le quinte della biografia di Dante

“Vita di Dante. Una biografia possibile” di Giorgio Inglese

di / 15 marzo 2019

Copertina di Vita di Dante di Giorgio Inglese

«Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita». I celeberrimi versi danteschi citati, oltre a evocare nel cuore degli Italiani soavi ricordi o struggenti pomeriggi di studio, si stagliano come ostacoli apparentemente insormontabili anche di fronte allo studioso che intenda scrivere una biografia di Dante Alighieri. Pubblicare qualcosa di nuovo su tale materia, che contemporaneamente possa essere utile, non risulta difatti semplice per chi deve districarsi tra una selva selvaggia di studi già esistenti. Per tale ragione, la monografia di Giorgio Inglese Vita di Dante. Una biografia possibile (Carocci editore, 2018) è meritoria.

Come il Dante personaggio incontra all’origine del proprio tragitto una lonza, un leone e una lupa che ne arrestano il cammino, analogamente lo studioso si imbatte in monumenti che per diversi motivi sono letture imprescindibili sull’argomento: in particolar modo Vita di Dante di Giorgio Petrocchi, pubblicata nel 1983 da Laterza, e Dante. Il romanzo della sua vita (Mondadori, 2012), di Marco Santagata: il primo tratta impareggiabilmente la vita e le opere dantesche, pur con piglio accademico e con abbondanti citazioni dal latino e dal volgare, sì che l’intelligibilità piena dello scritto è riservata più agli studenti universitari e agli studiosi di letteratura italiana; il secondo ricostruisce invece in modo scientifico ma con intento divulgativo la vita e le opere del poeta fiorentino, indirizzandosi più al grande pubblico, che troverà i rari riferimenti latini ricodificati in italiano. Cosa potrebbe tentare a questo punto l’autore Giorgio Inglese? Di quali altre vie, altri porti conviene valersi, per superare tale stato dell’arte? Il critico lo chiarisce sin dalla premessa: tenterà una ricostruzione biografica che abbia origine da un vaglio critico, tendente a discernere il grano dalla crusca, basato sulle tre tipologie di fonti antiche riguardo il poeta, ossia le vite, i primi commenti alla Commedia, le fonti storiografiche scritte tra il 1310 e il 1450.

Al contrario di Petrocchi e di Santagata, che produssero la biografia fornendo frequentemente conferma dei propri ragionamenti grazie alla citazione delle opere dantesche o coeve, Inglese incomincia innanzitutto riferendo le parole attinte da una delle tre tipologie di fonti sopra menzionate, ragionandoci poi su e integrandole (o se necessario confutandole) o comunque dando il riscontro testuale di quanto sta affermando, ai fini di ricostruire la vita del poeta. L’autore, dunque, si pone da vero filologo e critico del testo, mostrando implicitamente come uno studioso si approccia dinnanzi a qualsiasi testo o studio antico.

Beninteso: tale procedimento non è rivoluzionario, poiché gli studiosi seri operano in siffatta maniera, conferendo poi al saggio scritto una forma diversa; innovativa, semmai – oltre che meritoria – è quindi la struttura che Inglese conferisce alla monografia, con lo scopo di evitare il “già letto”.

Identico risulta, innegabilmente, il fine perseguito dai critici della biografia dantesca; ma come le differenze strutturali e formali evidenziate si riverberano sulla sostanza di questo saggio? Cerchiamo di chiarire la questione principiando dal titolo: Vita di Dante. Una biografia possibile mostra che, essendoci nella vita del Sommo elementi certi accanto a vexatae quaestiones, quella prodotta dal critico è una delle possibili biografie, che collimerà in buona parte con quelle pre-esistenti ma che altrove se ne discosterà o chiuderà la questione senza fornire una risposta definita, a causa di una più stretta attinenza al dato testuale antico. Un esempio su tutti concerne un presunto viaggio di Dante a Parigi (collocato da Boccaccio in una data inesatta), che per Petrocchi risulta «difficilmente confutabile», per Santagata avvenne più probabilmente ad Avignone, mentre per Inglese è necessario «prendere atto della tradizione, senza poterla confermare, né confutare».

L’aspetto formale della monografia si ripercuote anche sotto il connubio vita-opere dantesche: laddove Inglese riporta brani di Dante o coevi come strumento preliminare, finalizzato al ragionamento e alla comprensione della biografia del Sommo poeta, all’opposto tanto Petrocchi quanto Santagata approfondiscono la vita del poeta e le vicende storiche del tempo, facendone conseguentemente dipendere la poetica espressa nelle varie opere.

Da tali considerazioni scaturisce pertanto che, mentre i lettori con ricordi consunti dall’inesorabile scorrere del tempo possono usufruire della prosa di Petrocchi e Santagata per “ripassare” gli scritti danteschi, al contrario i fruitori del libro di Inglese sono obbligati a una conoscenza preventiva dei capolavori del poeta e anche della storia fiorentina del tempo (a tal fine, al termine del libro è approntato da Giuliano Milani un breve saggio sulla storia di Firenze dal 1200 al 1321) per capire in quale misura gli ideali del Sommo incidano sui suoi scritti e sulle motivazioni per le quali essi furono composti in un determinato frangente storico.

Ciò potrebbe apparire un limite, specie se confrontato con la struttura romanzesca conferita da Santagata, che si dilunga anche sui vicoli di Firenze, sull’epilessia di Dante e su ogni possibile finezza atta a dilettare la lettura che ineluttabilmente potrebbe risultare arida in certi punti; tuttavia, la scelta di Inglese è ben precisa e non contestabile, tenendo presente che è costretto a ritagliarsi una fascia di pubblico necessariamente disomogenea rispetto a quella dei critici precedenti, più limitata rispetto al Petrocchi e decisamente più ristretta rispetto alla platea di Santagata: chi non fosse in possesso di una conoscenza del volgare e della storia italiana dell’epoca, e principalmente chi non fosse avvezzo agli incessanti riferimenti testuali in Latino medievale e al lessico della filologia, si ritroverebbe come Dante all’inizio della Commedia senza la guida del provvidenziale Virgilio: impossibilitato a percorrere anche pochi passi in una selva selvaggia di termini incogniti.

Chiariti tali aspetti necessari, resta da analizzare quali siano le novità apportate da Inglese o in cosa egli si discosti dalle altre biografie composte sul Sommo poeta. Non troppi mutamenti, almeno per il lettore profano, ma considerevoli per i dantisti. Di lieve rilevanza la diversa cronologia fornita ad alcune peregrinazioni del personaggio (attraverso le quali il lettore scaltrito coglie però meglio la genesi di alcune opere), la datazione di Monarchia differente rispetto a quella supposta da Santagata e da Petrocchi, e la proposta di lasciare con un punto interrogativo l’artefice dei poemetti Fiore e Detto d’Amore, dal momento che Dante sarebbe l’autore meno improbabile tra tutti quelli ipotizzati per i due scritti (caso nulla affatto strano che i filologi dubitino delle attribuzioni di alcune opere: si pensi che non tutti vedono in Beccaria lo scrittore del pamphlet Dei delitti e delle pene). Siamo ancora nell’assai circoscritta nicchia delle diatribe da filologi, si intende.

Più interessante sapere che il poeta fiorentino, a differenza di quanto asserisce Petrocchi, non faceva parte della piccola nobiltà, bensì della ricca borghesia, e che i frequenti encomi che costellano la Commedia fanno parte di un codice clientelare cui l’autore doveva inevitabilmente sottostare a favore dei propri protettori.

Utile poi, oltre che spiegato con convincente erudizione, è apprendere la portata degli avvenimenti del 1309; essi influirono tanto sul pensiero e sulla vita di Dante da portarlo all’interruzione del Convivio e alla concomitante genesi della Commedia, concepita come enciclopedia etico-politica (finalità del Convivio) latrice simultaneamente della finalità di annunciare l’uscita dalle tenebre del suo autore-protagonista ma anche dell’umanità tutta, grazie alla recente elezione sul trono imperiale di Enrico di Lussemburgo, che finalmente reggerà il timone di un’Italia dilaniata, in quanto a lungo «nave sanza nocchiero in gran tempesta». Anche a questa conclusione Inglese è approdato grazie alla lettura accorta dei capolavori danteschi.

Ed è proprio nell’esegesi testuale che lo studioso dà il meglio di sé, altra peculiarità per la quale la ricostruzione biografica è rivolta a una percentuale infima di pubblico: grazia a tale singolare sagacia, può dimostrare testi alla mano che il Sommo dimorò a Ravenna solamente nel 1320-1321 (mentre molti critici anticipano di uno o due anni il soggiorno esiziale), o può dimostrare tanto l’origine della leggenda secondo cui i primi canti dell’Inferno erano stati composti a Firenze nel 1300, quanto la spiegazione razionale del mito secondo cui gli ultimi canti del Paradiso vennero salvati giusto in tempo dalla consunzione grazie a un sogno profetico.

Dunque incipit vita nova, o, per parafrase le parole iniziali della Vita nuova, qui termina la presentazione della monografia di Inglese, che dovrà essere presa come nuovo punto di partenza degli studi dai dantisti, e che sarà meglio evitare per quasi tutto il resto dei lettori, che altrimenti rischiano di non riuscire a uscire dall’oscurità del libro a riveder le stelle.

 

Giorgio Inglese, Vita di Dante. Una biografia possibile, Carocci editore, 2018 (2015), pp. 194, € 15.00 – Recensione di Luigi Buttiglieri
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LA CRITICA

Un meritorio e utile saggio scritto da un filologo per addetti ai lavori:  solo costoro potranno intendere l’acume delle tesi di Inglese. Per i semplici appassionati, si rimanda alla lettura di altre biografie dantesche.

VOTO

8,5/10

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