Elefanti bianchi

di / 23 maggio 2019

copertina di Piccola enciclopedia del fallimento

Per una tradizione antica, i sovrani del Siam talvolta regalavano ai propri cortigiani degli esemplari di elefante bianco. Questi rarissimi animali erano considerati sacri e non potevano essere utilizzati per alcuno scopo. Il prezioso dono quindi conduceva rapidamente al tracollo economico l’intera famiglia a cui era destinato, che riceveva implicitamente anche l’obbligo di provvedere al mantenimento dell’animale senza poterlo sfruttare in nessun modo. Oggi il termine elefante bianco è utilizzato per riferirsi a tutte quelle opere architettoniche fallimentari: palazzi, ponti, strade e monumenti di smodata bellezza, le cui spese di costruzione o manutenzione sono capaci di annientare le comunità per le quali erano state pensate. L’elefante bianco più famoso di tutti i tempi si trova a Montréal ed è lo Stadio Olimpico costruito per ospitare alcuni dei giochi delle Olimpiadi del 1976. Un’architettura complicatissima che, dal progetto alla realizzazione, è costata ai cittadini un debito pro capite di ben un miliardo di dollari, estinto solo nel 2006.

Le vicissitudini più bislacche legate a questi giganti del fallimento riguardano però i casi in cui essi furono costruiti con l’idea di risollevare le sorti di un luogo o di una comunità, producendo conseguenze e contraddizioni inaspettate. In Sicilia, la città di Gibellina Nuova sorse sulle rovine di un’altra, divenuta fantasma dopo il terremoto del 1968. Nel tentativo di riqualificarla si decise di renderla uno spazio aperto agli artisti: così se si passeggia per le sue strade si possono ancora ammirare la Chiesa Madre di Ludovico Quaroni, i Giardini Segreti di Francesco Venezia, la Porta del Belice di Pietro Consagra e molto altro ancora. Una città d’arte contemporanea completamente deserta e in stato di abbandono. Le erbacce e i rifiuti rilasciate dagli appassionati d’arte che vi si recano sono gli unici abitanti del posto.

A volte nemmeno la bellezza arriva a mitigare le sorti degli elefanti bianchi; a provarcelo è il Ryugyong Hotel di Pyongyang, più di trent’anni di lavori e un primato, quello di costruzione più brutta della storia dell’umanità, ottenuto ancora prima di essere ultimato. Il grattacielo, 105 piani, 335 metri e un costo totale di 750 milioni è completamente vuoto, usato come antenna per le telecomunicazioni.

 

“Elefanti bianchi” è tratto da Piccola Enciclopedia del Fallimento di Davide Bart Salvemini, pubblicato da hoppípolla edizioni.

 

Piccola Enciclopedia del Fallimento, con le tavole di Davide Bart Salvemini, raccoglie le storie più bizzarre legate al tema della disfatta. In aperta polemica con la natura motivazionale di certi manuali che affollano gli scaffali delle librerie, raccoglie esempi memorabili di fallimenti e speranze disattese: un inno alla fallibilità umana e alla bellezza di alcune storie di sconfitta.

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