Un sarto nel vuoto

di / 13 giugno 2019

È una storia di avanzi e ritagli e del sarto Franz Reichelt che guarda in su mentre cuce. Il giovane austriaco è ossessionato dalla moda e dall’aviazione ed è per amore di entrambe le cose che nel 1898 lascia Vienna e si trasferisce a Parigi. Lì apre bottega e comincia a vestire le più ricche e capricciose dame del ii arrondissement e non solo. Mentre ricama giacche e camicette di raso, si appassiona pure alle crinoline e ai loro faux-cul. Studia quelle complicatissime architetture di metallo che come per magia plasmano sotto le gonne i sederi più sporgenti e posticci di Parigi. Le donne fanno a gara a chi ce l’ha più alto e Franz le asseconda. Cuce e solleva, solleva e cuce e più innalza più gli affiora un’idea che calza sul suo assillo come un guanto: confezionare un mantello volante e staccarsi finalmente dalla terra che gli va stretta.
A colpi di ago e filo imbastisce la sua tuta, poi arruola tutti i manichini della sartoria e gliela fa indossare lanciandoli giù dal quinto piano del palazzo. Dopo ogni test prende metro, forbici e taglia il superfluo. Misura, calcola, rattoppa; centimetro dopo centimetro insegue la leggerezza. Per ogni scampolo che defalca Franz si esalta, al punto che bisognerebbe ancorarlo a terra per non farlo volare via dall’entusiasmo. Quasi cento lanci e decine di fantocci mutilati non bastano a realizzare qualcosa che assomigli anche lontanamente a un volo, così passa al collaudo personale e non importa quante volte si schianti su balle di fieno piazzate dai suoi assistenti, lui vuole volare, come un supereroe.
Franz ha trovato il suo scopo, anzi la sua direzione, capisce che deve procedere verso il cielo ma gli manca il trampolino per farlo, gli mancano i metri che solo la Torre Eiffel gli può dare. Sale il 4 febbraio del 1912, gli è sufficiente il primo piano per lanciarsi ma prima sfila davanti a una folla di cronisti e cineasti che rende difficoltoso l’ingresso. In mezzo a centinaia di curiosi ci sono pure quattro funzionari dell’Aéro-Club di Francia che scuotono la testa, Franz accenna un saluto con aria di sfida. Indossa una coppola e degli stivaletti di vernice nera, inoltre ha due baffoni che insieme ai venticinque chili di stoffa e armatura del suo camiciotto, lo fanno camminare tra i fotografi come fosse un tricheco.
Sono le otto del mattino e sulla rampa di lancio tira un vento gelido. Con due saltelli spiega le ali e ne testa l’apertura: 12 metri quadrati di stoffa che dovrebbero farlo planare sui giardini di Campo di Marte come un gabbiano; sono anni che si immagina la scena. Poi con un piede sul parapetto e l’altro su uno sgabello rimane quasi un minuto imbambolato a guardare giù con la condensa che gli esce dalla bocca. Mentre sta in bilico sul vuoto, la tuta sembra uno scafandro e lui più che un aviatore pare un palombaro dei cieli. Per almeno tre volte accenna a tuffarsi, non si è mai sentito così pesante in tutta la sua vita, poi però trova il coraggio. Il lancio dura un paio di secondi e mentre precipita si vede solo un grosso panno che cade, come se il sarto fosse diventato improvvisamente di stoffa. Quella terra da cui voleva allontanarsi adesso è una calamita che lo tira a sé, poi lo schianto sul suolo ghiacciato e una nuvola di polvere che si alza come nei cartoni animati, quasi per scherno. Da quel momento di Franz Reichelt si ricorderanno le abilità sartoriali e soprattutto un volo in cui di sbagliato c’era solo la direzione.
Franz voleva volare, magari sfruttando qualche corrente ascensionale ma la forza di gravità lo ha riportato coi piedi per terra, anzi con tutto il corpo; i suoi 62 chili moltiplicati per circa 60 metri d’altezza hanno fatto il resto. Il notaio che lo aspettava in basso per certificarne l’impresa, ora ne attesta il decesso mentre misura la violenza dell’impatto rilevando la fossa lasciata dal corpo. Dalla tasca del cappotto nero sfila un righello di legno del tutto uguale a quello del sarto. Lo strumento che serviva a Franz per misurare lo spazio tra sé e il cielo, il funzionario lo punta nella direzione opposta affondandolo nella buca, e neanche di poco. Poi lo brandisce e mostra alla folla la distanza volata verso il centro della Terra da quello scampolo di Icaro.

 

“Un sarto nel vuoto” è tratto dalla raccolta di racconti Come vedi avanzo un po’ – 15 biografie marginali di Stefano Scanu, uscito per ItaloSvevo editore.

 

Stefano Scanu è nato a Roma nel 1975, dove continua a vivere svolgendo il lavoro di libraio in una delle più grandi librerie di catena della capitale. Ha compiuto gli studi in Lettere. ha collaborato con Radio Deejay, Radio Rai e con le riviste Towner-Moleskine e Perdersi a Roma. Tra i suoi libri ricordiamo la raccolta di versi Come un albero per un ampolla (Giulio Perrone, 2014), e Buio in sala. Guida breve ai cinema di Roma (Giulio Perrone, 2016),  e Il disordine del mondo. Piccolo atlante dei luoghi fuori posto (Ediciclo, 2017).

Come vedi avanzo un po’: Vite avanzate da e verso qualcosa. Biografie fatte di resti, di persone scivolate ai margini e finite su questi fogli giusto il tempo di fermarsi prima di avanzare di nuovo. Il genere biografico può essere squisitamente narrativo: dipende da come certe storie vengono raccontate, ma anche da come i protagonisti hanno vissuto le loro vite. Nel caso di Franz Reichelt, Spike Jones, Félix Fénéon, Vera, Peg Entwistle, Sir Walter Arnold, William Salice, Fortunato Arrighi, Vincenzo Pelliccione, Paul Wittgenstein, Thomas Midgley, Prince Randian, Giachino Veneziani, Diego Maradona do Nascimento da Silva ed Eugeniu Iordăchescu, si tratta di vite sghembe, non propriamente ordinarie, e neanche eroiche: ma che qui prendono luce in tutto il loro splendore letterario.

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