Assenza, mancanza e sparizione: su “Burning”

di / 28 settembre 2019

Poster italiano del film Burning su Flanerí

Lee Chang-dong è una delle personalità culturali più influenti della Corea del Sud. Scrittore, docente, regista, ha ricoperto anche la carica di ministro della cultura e del turismo. I suoi pochi film sono stati sempre apprezzati e applauditi dalla critica. Burning è arrivato nelle sale a otto anni di distanza da Poetry, il suo ultimo film premiato per la sceneggiatura a Cannes nel 2010.

È un cinema denso e complesso, quello di Lee, che unisce storie individuali a un’analisi sottotraccia della società. Non fa eccezione Burning – L’amore brucia, arrivato in Italia con un anno e mezzo di ritardo rispetto alla presentazione a Cannes del maggio 2018.

Il punto di partenza è un racconto di Murakami Haruki, “Granai incendiati”, pubblicato nella raccolta L’elefante scomparso e altri racconti (2001 con Baldini e Castoldi, dal 2009 con Einaudi, traduzione di Antonietta Pastore). Lee ha spostato tutto dal Giappone nella Corea del Sud di oggi. Jong-su è un aspirante scrittore che si mantiene con lavori casuali. Un giorno incontra per caso una vecchia compagna di scuola, Hae-mi. Nasce qualcosa, o almeno è quello che crede Jong-su. Perché quando la ragazza torna da un viaggio in Africa, che aveva in programma da tanto tempo, accanto a lei c’è Ben, ragazzo ricco per il quale tutto sembra semplice e noioso. Fra i tre nasce uno strano triangolo fino alla sparizione di Hae-mi. Jong-su non può fare altro che chiedersi se Ben sia in qualche modo coinvolto nella fine della ragazza.

Gli estimatori della scrittura di Murakami Haruki troveranno in Burning tutti gli elementi che caratterizzano la scrittura del giapponese. L’alto livello culturale, i riferimenti alla letteratura statunitense (Faulkner, autore nel 1939 di un altro racconto dal titolo “Granai incendiati”), la descrizione rapida e in pochi tratti della società, il realismo onirico, sono tutti resi in un modo che – finalmente – dona grandezza cinematografica alle opere dell’autore. Negli anni non sono mancati i tentativi di portare lo scrittore giapponese al cinema, ma sono stati, a parte forse il Norwegian Wood del 2010, tutti trascurabili.

Lee Chang-dong è riuscito a trasferire in maniera credibile la vicenda in Corea. Il suo sguardo si allarga alla società, alla condizione dei giovani, ai genitori, alle sperequazioni sociali, al rapporto con la Corea del Nord, senza snaturare l’essenza del racconto.

Burning è una storia di cose che non si vedono. Di gatti che si nascondono, o non esistono. Di ricordi che non hanno conferme, di pozzi che non sono al loro posto. Di telefonate mute. Di paesi in guerra fredda perenne a poche centinaia di metri di distanza. Il romanzo di Jong-su non si sa nemmeno se esiste, eppure tutti gli chiedono di parlarne, di dire che tipo di romanzo è. Una serra va a fuoco, ma nessuno vede le fiamme. Hai-mi sparisce, ma è come se non fosse mai esistita.

Lee Chang-dong è riuscito a costruire un intero film sulle cose che non ci sono, a partire dall’amore, che Jong-su credeva reale e che forse non è mai esistito. La vita di Jong-su si sviluppa in assenza: senza Hae-mi, mentre si prende cura del suo gatto che non si fa mai vedere; senza suo padre, detenuto in attesa di giudizio; senza un romanzo da scrivere. È un film di illusione e di assenza.

La svolta verso il thriller si presenta all’improvviso e conduce verso una strada lontana da qualsiasi aspettativa. C’è una tensione impalpabile ma costante, un sospetto che cresce e spaventa. Non è il mistero a essere centrale, ma ancora una volta la sua assenza, quella sparizione che passa quasi senza tracce, come un ricordo che svanisce, come una serra che brucia.

(Burning – L’amore brucia, di Chang-dong Lee, 2018, drammatico, 148’)

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LA CRITICA

Da un racconto di Murakami Haruki, Burning  è un film complesso sulla potenza delle cose che non ci sono. La prima trasposizione cinematografica al livello dello scrittore giapponese.

VOTO

8/10

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