Mio padre, un uomo e una balena

A proposito di “Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena” di Michelle Steinbeck

di / 21 ottobre 2019

Copertina di Mio padre era un uomo sulla terra di Steinbeck

Ecco un paradosso: weird, eerie, strano, grottesco, bizzarro, assurdo. Per Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena (Tunué, 2019, traduzione di Hilary Basso), secondo titolo della collana Romanzi/Straniera diretta da Giuseppe Girimonti Greco e Vanni Santoni, ed esordio narrativo dell’autrice svizzera Michelle Steinbeck, non voglio usare nessuna di queste parole. Steinbeck racconta la storia del viaggio di una ragazza alla ricerca di suo padre. Per riassumere la trama del breve romanzo – poco più di un centinaio di pagine – basterebbe soltanto questa frase, se non fosse che questa giovane autrice ha saputo creare un mondo.

Per leggerlo ci ho messo tantissimo. Per rileggerlo ancora di più. Giorni. Sono stato ore sulle stesse espressioni. Quasi tutta la mia ricerca è stata inutile. Ma non mi sono pentito. Lo hanno paragonato ad Alice, ai film di Tim Burton, al Mago di Oz. A me questo interessa poco. Quello di Steinbeck è un realismo surreale? Un realismo da romanzo di formazione picaro-grottesco? Forse, non lo so. Già l’imperfetto del titolo, descrittivo ma ambiguo, ha suscitato in me un primo, essenziale interrogativo: d’accordo, suo padre era un uomo e una balena. Ma quando?

Ho inseguito invano i significati simbolici di questo libro. Le distanze, i ricordi, i silenzi, l’immaginazione, il senso di perdita, gli incontri inattesi e quelli cercati, la realtà dei sogni e i bruschi risvegli, i pensieri sulla natura della felicità, le cadute vertiginose, il morso della fame, i fardelli che ognuno si porta dentro. L’immagine del fuoco – ho pensato alle Lezioni americane di Calvino, a quella, sostanziale, sull’Esattezza ­–, gli oggetti desueti e la valigia, gli alani terrificanti e fiabeschi, l’oscura simbologia dei denti e delle orecchie, i bambini, le onnipresenti sigarette anche tra le loro labbra.

Il racconto è in prima persona e inizia con un bambino dalle scarpe lampeggianti che non si sa perché insulta la giovane protagonista. Tornata a casa, Loribeth infila un foglio nella macchina da scrivere e scrive proprio il titolo del romanzo: Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena. Nonostante tutto, mi pare un suggerimento piuttosto fuorviante di interpretazione metaletteraria. E se Loribeth ci sconsiglia un percorso del genere, anche perché in quel momento non so cosa accadrà, sono d’accordo con lei: «All’inizio ho tentato di scrivere qualcosa, ma mi è passata subito. Di cosa dovrei scrivere? Non sono più saggia di prima, se possibile capisco ancora meno. I grandi misteri sono diventati piatti come un foglio di carta, irrisolti, è vero, ma non più così urgenti».

All’inizio del romanzo, dopo un dialogo tesissimo con il fratello – come di consueto, un imprevisto dà avvio alla storia – Loribeth inizia il suo viaggio un po’ picaresco, un’avventura plurale, annebbiata e incuriosente, giustificata da un obiettivo preciso: ritornare dal padre scrittore, scoprirlo. «Mio padre non vuole bambini, dico. Non ha mai voluto bambini, non voleva nemmeno me». Andrà a cercarlo su un’isola. Deve consegnargli un’ingombrante valigia. Un bambino sarà il suo taciturno e chiuso compagno di avventure. È soltanto un romanzo, ma non per tutti i lettori sarà normale immaginarsi, per esempio, un bambino che pende da un termosifone.

La giovane protagonista è una ragazza gettata nel mondo che affronta la vita. Incontrerà una vecchia indovina dai capelli blu e dalle mani di ragno che già la conosce. È una prolessi narrativa. Le parlerà come un oracolo, in compagnia del suo animale domestico – un rettile ibrido e rachitico. Loribeth incontrerà un vecchio senza gambe che pedala con le mani; un maggiolino di latta che vola; alcune creature che mangiano le orecchie, altre che preferiscono le dita; si imbatterà in una comunità di artisti e per un po’ giocherà con loro a fare la bohème e la rivoluzione. È un romanzo di poche pagine, ma succederà molto altro.

Loribeth ci fa anche divertire. Ecco un esempio tra i diversi possibili: «Non so quand’è stata l’ultima volta che ho mangiato qualcosa. Potrei cadere morta per terra da un momento all’altro. Sarebbe meglio di no, dice».

Alcuni teletrasporti della protagonista da uno scenario all’altro sono fantastici e sembrano quasi attraversamenti di confini, di soglie, di portali spazio-temporali; di punto in bianco «tre alani grigi, grossi come vitelli, passeggiano per la strada e avanzano dietro di me», «mi risveglio in un gommone», «arriviamo a un mercato»; spesso manca la luce: «anche qui dentro è buio», «mi tiro su. È buio. Dove sono?», «per tutta la notte ho corso», «è notte».

Nella sua scrittura, Steinbeck dissemina similitudini che sembrano provenire da una specie di sottosuolo: «fili di bava che dondolano come amache», «le occhiaie scintillano come pozze di benzina», «i gabbiani sono appollaiati sull’acqua come puntini di muffa sulla carne vecchia», «[Seifert, un personaggio] sfreccia per la casa come una vespa velenosa», «la sua ombra gigantesca [di Mabel, un altro personaggio] si dimena sul muro come un coboldo». I dialoghi seguono le parti narrate senza segni di interpunzione, come se il racconto fosse simile a un lungo discorso interiore della protagonista – non credo però che sia così. Loribeth sperimenta un universo tutto suo, dove le immagini si affastellano e i cammelli nitriscono.

La fine si preannuncia come un putiferio eccitato, un sovraeccitato pandemonio, un invasamento luminoso; eppure il bene e il male stanno lì, insieme.

Esagero: Steinbeck ci racconta ciò che succede tra la scrittura e la vita e forse anche tra noi stessi e il mondo. Non siete neanche un po’ curiosi di scoprire che cosa fa questa Loribeth?

«Voglio essere sempre altrove, mai dove sono. Ma poi a che serve andarsene? Ogni volta mi porto dietro me stessa».

[Come mi spiega un caro amico, inattesa riformulazione del motto oraziano «Caelum non animum mutant qui trans mare currunt», tanto caro a Montaigne e a tanti altri viaggiatori di professione, malinconici illustri, irrequieti, mercuriali, ipercinetici…]

 

(Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena, Michelle Steinbeck, Tunué, 2019, trad. di Hilary Basso, 112 pp., euro 17, articolo di Federico Musardo)
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LA CRITICA

Mio padre era un uomo sulla terra e in acqua una balena non è soltanto il viaggio di Loribeth verso suo padre. La storia che racconta significa tante cose. Consiglio senz’altro di scoprirlo, di rileggerlo più che di leggerlo.

VOTO

7.5/10

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