L’inutile ripetitività dei Cigarettes After Sex

"Cry", il secondo album della band americana

di / 29 ottobre 2019

Assolutamente nulla di nuovo sul versante dei Cigarettes After Sex. Come era facile immaginare, il gruppo di El Paso scrive un album che è una fotocopia del precedente Cigarettes After Sex, che aveva generato un notevole hype più o meno motivato prima della sua uscita. Cry continua sulla scia di due anni fa. Ma Cry in realtà non continua nulla, non è un’evoluzione:  senza stare a cercare quale tipo di frammento musicale sia leggermente diverso tra il presente e il passato –  facendo così un discorso capzioso su una questione che invece è piuttosto facile da decifrare – i due lavoro sono inquietantemente sovrapponibili.

I Cigarettes After Sex sembrano una macchina che genera canzoni dei Cigarettes After Sex, un algoritmo impostato per ricalcare o meglio, essere parodia di un’estetica ben collaudata e facilmente riconoscibile. È davvero incredibile come dopo due album il parlare di un loro album significhi parlare di come riuscire a scrivere la stessa canzone per due album di fila.

I riferimenti, dunque, sono gli stessi di sempre. Mazzy Star, chiaramente, Beach House e tutto il calderone shoegaze, ambienti rarefatti e nulla di più. I Cigarettes After Sex non sono un gruppo, sono un genere. Musica che vive dell’effetto revival anni ’80, coadiuvata da internet, da mode che si diffondono velocemente, che creano bolle che il più delle volte esplodono in un nulla desolante.

Un sottofondo continuo, una playlist mix di musica collegabile a un qualsiasi immaginario che abbia a che fare con la tristezza/malinconia o un’idea preconfezionata di essa – una giornata uggiosa, la pioggia, un risveglio in una domenica mattina di fine settembre: ne è banalmente la colonna sonora, prevedibile e stucchevole. Per l’appunto, non materia intellettuale, ma prodotto: ragionamento di convenienza, più marketing che altro.

Quale sia l’inizio e la fine di un pezzo è praticamente impossibile da riconoscere (stessi beat, stessi suoni, stesso mood): siamo proiettati in un loop di quaranta minuti che sembra non finire mai, se ci concentriamo e cerchiamo di capirlo. Greg Gonzales  non varia il cantato e la sua voce androgina – che è di per sé un punto di forza – si trasforma in una specie di scherzo che annoia.

È comunque un album piacevole? Sì, ma in un’ottica in cui l’arte non debba mettere in discussione nulla, non debba opporsi o mettersi di traverso tra noi e il mondo, capovolgere le nostre convinzioni. Un sottofondo, qualcosa che può stare lì, in un angolo: nel momento in cui non gli prestiamo attenzione, sì, può funzionare. Può essere piacevole. Buono, in fin dei conti, per perpetuare un cliché hipster in un locale: “Ah, i Cigarettes After Sex” e niente di più.

Anche perché i testi sono naïf e per nulla interessanti. Roba da adulti che giocano a fare gli adolescenti. Basta pescare casualmente: «Falling in love / Deeper Than I’ve felt before / With you baby». L’andazzo è questo, niente di più, niente di meno.

Non c’è molto altro da aggiungere su un album e su un gruppo che giunto al proprio secondo lavoro non sembra avere molto da dire. Per sapere qualcosa su Cry, basta sapere qualcosa su Cigarettes After Sex.

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LA CRITICA

Cry è un album fondamentalmente inutile: due anni dopo l’esordio con Cigarettes After Sex, la band americana guidata da Greg Gonzales riscrive di base lo stesso album.

VOTO

5/10

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effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

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