Dente e il suo album meno Dente di sempre

L'ultimo lavoro del cantautore di Fidenza

di / 4 marzo 2020

Dente che prova un restyling dopo i fatti di Calcutta è l’ennesimo segnale di cosa sia successo in Italia se parliamo di musica. Il suo nuovo Dente lo testimonia, anche se prende una strada che non ha propriamente i connotati di quel mostro dell’itpop che ora sta facendo i conti con il tempo che passa. Si accoda più a un nuovo registro autorale, anch’esso influenzato necessariamente da quanto accaduto negli ultimi anni, che vede protagonisti Brunori Sas in primis e, ultimamente, Bugo.

Allora, Dente c’è sempre. Non siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione. La questione è che ora cerchiamo di parlare di Dente sapendo cosa fosse prima e di come gli ultimi cinque anni – se non di più – ne abbiano trasformato la percezione. A un certo punto ci si è ritrovati a pensarlo come una cosa vecchia. Anche Canzoni per metà, il suo ultimo album prima di questo, è passato come se qualcuno avesse sussurrato qualcosa durante una bufera. Eravamo agli albori dell’itpop, Mainstream si era appena abbattuto sulle nostre vite.

Il cambiamento parte dalle parole e dal loro uso: meno calembour, meno giochi di parole, quelli lasciamoli all’universo rap/trap o a quell’ibrido dei Coma Cose. Il pop, ora, non ne ha bisogno. Con Dente ci si prende più sul serio. Musicalmente, d’altra parte, viene seguita la direzione di un cantautorato definibile come più alto rispetto all’universo itpop.

C’è dietro sicuramente l’aspetto storico/anagrafico: se Dente avesse ceduto di fronte alle lusinghe del deforme proselitismo di Calcutta, probabilmente parleremmo di un album senza né capo né coda, furbo, freddo. Senza identità ed essenzialmente triste. Si accoda dunque al Brunori di Cip!, che mira in alto, e alla scrittura nevrotica di Bugo. Dente ci si tuffa dentro con la calma della sua voce e ci mette in più qualche colpo alla I Cani, accenni di synth che sembrano usciti direttamente dalle sinapsi di Contessa.

Si dice spesso che Dente sia stato un po’ l’itpop ante litteram, e la cosa può essere vera a metà. Quello che faceva lui, agli esordi, era qualcosa che usciva fuori sicuramente per la sua originalità nel tocco della voce e per quelle sue poesie fatte di immagini che si piegavano e ripiegavano su loro stesse e andavano a formare una grammatica di immagini che ti lasciava in faccia un sorriso sghembo e pieno di dolcezza.  Ma Dente era inserito in un mondo in cui esistevano ancora i richiami di un’entità che poteva dirsi indipendente. È allo stesso tempo vero che chi è venuto dopo deve molto a lui, perché ha saputo incanalare nelle sue canzoni un certo fare naïf e un disimpegno di cui poi, però, si è abusato. In Dente c’era forte identità, c’era unicità.

Dente è uscito su per giù nello stesso periodo di Brunori Sas, ma se il cantautore calabrese ha iniziato a scalare quella piramide impervia che porta alla notorietà, con programmi tv, interviste in tv e dischi esposti tra i più venduti alla Feltrinelli, lui si è piano piano eclissato, diventato poco più che un ricordo. “Ah, te lo ricordi Dente?” ci siamo detti probabilmente più volte di quanto crediamo.

Che peccato. Lo guardavi in questi anni sui vari social e vedevi come racimolasse una manciata di Like sotto i suoi post. È un metro di giudizio orribile, certo, ma rende più chiara la questione: l’itpop e le creature di Zuckerberg hanno inghiottito e sputato via Dente come un frutto marcio e questo ha influito su come noi pensiamo a Dente. Non rientrava negli stilemi contemporanei, era troppo lontano da tutto, troppo vicino a sé in un presente che non aveva più bisogno di lui.

Ma poi sono stati proprio loro, i social e i loro paradossi inquietanti, a ricreargli un po’ di attenzione attorno. Un po’ alla volta una comunicazione sempre più frequente, fino all’annuncio che Dente sarebbe tornato a produrre un album: la cosa ha reso il suo nuovo album come un argomento che appartenesse a questi tempi. Che fosse qui, ora.

Dente è sempre piacevole da ascoltare. Ce l’ha fatta a reinventarsi, senza scendere a compromessi eccessivi, cercando solo di captare le regole del presente e scrivendole nella maniera più consona e personale possibile. Sembra cresciuto, lasciando intatta la capacità di scrittura che lo ha sempre contraddistinto. Oggi ci godiamo un album leggero che scivola via senza intoppi.

Cose dell’altro mondo” è il pezzo che più rappresenta Dente. Un lavoro sincero e diretto, che ci fa capire dove vuole andare un ramo del cantautorato, ma soprattutto che Dente non è solo un ricordo.

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LA CRITICA

Quattro anni dopo “Canzoni per metà”, il ritorno di Dente è un qualche cosa di molto gradito. “Dente” è un album piacevole e leggero, che va via senza problemi.

VOTO

7/10

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