SEE MORE GLASS: Alzate l’architrave, carpentieri

Un percorso nella produzione breve di J.D. Salinger

di / 23 aprile 2020

foto per articolo Coltri, Alzate architrave carpentieri di Salinger

È un percorso di avvicinamento ai racconti e alle novelle di Salinger, quello di Davide Coltri, che si sofferma su alcuni dei temi più cari all’autore: il valore e la potenza del narrare, l’autenticità artistica, il rapporto tra fratelli.

Leggi qui gli altri articoli. E un’avvertenza: è probabile che ci siano spoiler, se questa parola ha un significato quando si parla di Salinger.

 

Terza puntata

Alzate l’architrave, carpentieri

Questa novella del 1955 costituisce una svolta fondamentale per Salinger. Prima di tutto, è qui che l’autore fonda l’universo della famiglia Glass, inscrivendovi vicende narrate in tre racconti e una novella che prima risultavano slegati – Seymour Glass è sì il protagonista di Un giorno ideale per i pescibanana, ma non vi erano ancora elementi che permettessero di ricondurre i personaggi di Zio Wiggily nel Connecticut, Giù al dinghy e Franny alla stessa famiglia. Ma questa è anche la novella dove per la prima volta, sulla scia di quanto abbozzato in Franny, esplode una tensione che determinerà l’intero percorso personale e autoriale di Salinger: la famiglia Glass è il luogo in cui lo scrittore newyorchese tenta, con una dedizione maniacale, di delimitare un’estetica fondata sulla spiritualità. È un’impresa ardua e totalizzante: Salinger stesso, nel 1961, commentò come le storie dei Glass fossero un progetto a lungo termine, che amava molto e che probabilmente lo avrebbe portato a sparire completamente.

La vicenda è narrata da Buddy Glass, il secondo dei sette fratelli, e si svolge il 4 giugno del 1942, giorno del matrimonio del primogenito Seymour. Unico presente alla cerimonia per parte dello sposo, Buddy si trova suo malgrado a condividere prima l’abitacolo di un’automobile e successivamente il suo ex appartamento newyorchese con altri quattro invitati: la damigella della sposa, suo marito, la signora Silsburn e uno zio sordomuto della sposa – si stanno tutti allontanando dal luogo delle nozze perché Seymour non si è presentato. La damigella e la signora Silsburn, palesemente scandalizzate dalla condotta del mancato sposo, manifestano la loro indignazione per le molte stramberie di Seymour e commentano senza freni le sue presunte turbe psichiche, le sue incomprensibili uscite con la futura sposa, il fatto che durante l’infanzia abbia parzialmente sfigurato, senza alcun motivo apparente, una bambina che poi sarebbe diventata un’attrice famosa. Buddy tenta a più riprese di difendere il fratello, ma è consapevole che c’è una differenza incolmabile tra la vera natura di Seymour (che lui conosce bene) e quanto che possono cogliere i suoi accompagnatori. Di conseguenza la difesa risulta disperata, poco convinta, inutile. Ma non perché Seymour non abbia compiuto gli atti di cui è imputato – perché è la lettura di quegli atti a essere inadeguata.

Salinger non ci sta solo raccontando un altro giorno speciale nella vita di Seymour Glass: lo sta usando per parlarci di qualcosa di molto più profondo.

È il racconto taoista preferito di Seymour, riportato nel flashback iniziale, a darci una prima indicazione: parla di un certo Chiu-fang Kao, a cui interessa solo «il meccanismo spirituale» e che di conseguenza «per assicurarsi l’essenziale dimentica i dettagli più comuni». Agli occhi di chi è immerso negli accidenti mondani, Kao commette scelte grossolane, apparentemente errate o addirittura scandalose, proprio come quelle imputate a Seymour.

Esasperato dalle insinuazioni della damigella, Buddy fa poi un passo ulteriore e introduce un tema che era annunciato già nel titolo della novella, preso da un frammento di Saffo: nessuno «aveva mai conosciuto [Seymour] così com’era in realtà. E cioè mai nessuno, perdio, aveva capito che era un poeta. E voglio proprio dire un poeta. Anche se non ha mai scritto un solo verso».

In quanto spirituale, Seymour è vero poeta/in quanto vero poeta Seymour è spirituale e, come tale, non può essere compreso da chi si fermi alla superficie delle cose: la riflessione dello scrittore newyorchese fa un decisivo salto di qualità dal generico ribellismo che sosteneva la lotta di Holden contro gli ipocriti (phoneys).

Una conferma del travisamento del poeta lo ritroviamo nell’atteggiamento che i convitati riservano allo zio sordomuto della sposa, personaggio che per tutta la novella sembra indifferente al disagio, alla tensione, alle discussioni e alle decisioni che lo circondano, come se vivesse in una dimensione allo stesso tempo più leggera e profonda di quella dei suoi compagni di strada. Nell’unica occasione in cui il vecchietto si esprime non a gesti – scrivendo su un foglietto la parola Lietissimo in risposta all’invito ad uscire dalla macchina -, Buddy afferma: «guardai rapidamente il grande scrittore e cercai di fargli capire con la mia espressione che noi tutti nell’auto eravamo capaci di riconoscere una poesia quando ne vedevamo una e gli eravamo grati». Anche il vecchio, come Seymour, è poeta e uomo dedito all’essenza delle cose. Nonostante le rassicurazioni, è chiaro che solo Buddy riesce a coglierne la natura: in quell’occasione la damigella sbuffa, successivamente chiede se il vecchietto sia matto – più o meno lo stesso trattamento che riserverebbe a Seymour, se le capitasse davanti.

Secondo Salinger il poeta mira alla «comprensione per quella gran corrente di poesia che scorre attraverso le cose, tutte quante», e al riconoscimento che «la voce umana congiura per profanare tutto quello che abbiamo in questo mondo».

Ma allora è possibile l’arte? O non resta che praticare il silenzio del mistico? È Seymour stesso, nel diario ritrovato nell’appartamento da Buddy, a sostenere che questa posizione spiritualmente coerente è un paradosso dal punto di vista estetico, perché implicherebbe abbandonare il giudizio artistico, accettare anche la cattiva poesia: «un uomo di gusto per giungere ad una tale conquista, dovrebbe spossessarsi di ogni poesia, andare oltre la poesia», così come il mistico supera l’apparente separazione tra gli enti, tra bene e male. Siamo lontani dalla conciliazione che Salinger proporrà in Zooey (pubblicata due anni dopo), dove vita artistica e vita spirituale sono armonizzate in grazia di una predestinazione: «in qualche stadio della tua evoluzione, in una delle tue maledette incarnazioni, se preferisci, tu non hai sentito soltanto un desiderio intenso di fare l’attore o l’attrice, ma di farlo bene. E adesso, ormai, ci sei dentro. Non puoi sottrarti così alle conseguenze dei tuoi desideri».

È forse sintomatico di questa dicotomia ancora irrisolta che il frammento poetico di Saffo che dà il titolo alla novella annunci uno sposo che nella storia fatica ad arrivare.

Alla fine della narrazione Seymour torna dalla sposa, le promette di andare da uno psicanalista «per farsi rimettere in sesto» – per imparare a stare in quel mondo di apparenze senza tradire la sua vocazione spirituale. Non ce la farà: sei anni dopo Seymour si suiciderà nell’altro giorno speciale, quello dei pescibanana. Ma questo è già un balzo in avanti: per ora non possiamo che registrare come, al ritorno di un Seymour arreso al mondo, l’altro poeta, lo zio sordomuto della sposa, sia sparito. Così come un giorno sparirà Salinger.

 

 

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