Questo inguaribile bovarismo: Flaubert nell’opera di Herbert Lawrence

di / 21 maggio 2020

immagine di Herbert Lawrence

Dall’accusa di immoralità e oscenità a una centrale presenza femminile, dalla compulsiva revisione  e diverse stesure d’autore fino alla definitiva pubblicazione: questi sono gli elementi che accomunano l’opera epocale di Gustave Flaubert, Madame Bovary (Feltrinelli, 2014) e quella sensuale di David Herbert Lawrence, L’amante di Lady Chatterley (Feltrinelli, 2013). Tanto distanti nel tempo eppure convergenti nelle figure delle due protagoniste: Emma Bovary e Costance Chatterley.

Cosa hanno dunque in comune una infelice sognatrice borghese ebbra delle proprie letture e una contessa soffocata dal proprio titolo? L’insoddisfazione è certo il primo punto d’incontro. Proviene dalla catastrofe del matrimonio, dalle aspirazioni deluse, dal rovinoso infrangersi dell’utopia. Emma, ferita dalla prospettiva che la propria unione con un medico di provincia non prospetti alcuna avventura romantica né ascesa sociale, sembra ri-sbocciare nel novecentesco profilo di Lady Chatterley, sposata senza amore estranea a un uomo impotente per una ferita di guerra che soffoca il suo carattere fiero e progressista. Intrappolate in convivenze infelici, finiscono per dar nome alla propria epopea romanzesca crocifisse al cognome ricevuto dal marito. Spose e non più donne, senza spiragli di individualità, trascorrono esistenze succubi della loro condizione.

«Da dove veniva, dunque quella insufficienza di vita, quella istantanea marcescenza delle cose a cui si appoggiava? […] tutto era menzogna! Ogni sorriso nascondeva uno sbadiglio di noia, ogni gioia una maledizione, ogni piacere il disgusto, i migliori baci non lasciavano sulle labbra che l’irrealizzabile desiderio di una voluttà più alta».

La dimensione sociale che entrambe le donne vivono racconta una struggente peculiarità: la desolazione, l’inerzia, il pallore mortale, le lozioni per il sonno. Emma è asfissiata dalla piatta ordinarietà di Charles Bovary che come in una parabola si materializza nell’handicap di Clifford Chatterley, snob, borioso e dai vuoti slanci narcisistici.

In assenza di brio nel matrimonio, Madame Bovary è portata a cercarlo altrove in relazioni con molteplici amanti, conti e giovanotti: un’avventura sentimentale altro non dimostra che una disperata ricerca di stimoli per sfuggire alla mediocrità e evadere da una vita incatenata al marito e alla figlia. Allo stesso modo Constance si trova a fronteggiare una tempestosa passione per il guardacaccia Oliver Mellors, passione sostenuta da un desiderio istintivo ritenuto trasgressivo ai limiti della moralità collettiva.

La tematica amorosa è qui di certo trattata con toni differenti dagli autori: dove, Flaubert con il suo stile maniacalmente curato tratteggia l’amplesso, Herbert Lawrence sfida i tabù di tempi appena più permissivi, descrivendo scene di spiccato erotismo. L’autore dell’Amante di Lady Chatterley non risparmia dettagli al lettore, dimostrando un primo distacco dal suo maestro francese: l’eros nella sua forma più sanguigna viene qui dipinto come valida cura a una vita di oppressione. In accorati monologhi in difesa della sessualità Lawrence calca un tema appena accennato in Flaubert, talvolta sfiorando l’edonismo.

Il sesso è in grado di far rifiorire una donna, è in grado di sanare la psiche e innalzare l’individuo a una dimensione di piena realizzazione. Così nella sua relazione con Mellors, Constance Chatterley emerge dall’oscurità, si manifesta caratterialmente: il suo personaggio a circa metà del romanzo si mostra infine nudo e vivo agli occhi del lettore.

 

 

Flaubert sfiora un simile vertice di pathos negli ultimi capitoli del romanzo. Emma Bovary a differenza di Constance, non trova reale soddisfazione tra le braccia sfuggenti dei suoi amanti, abbandonata alla sua infelicità finisce per precipitare fragorosamente sul granito della realtà fino all’ultima caduta più rovinosa: i desideri infranti, una vita avventurosa agognata e negata, il rifiuto degli stessi amanti al suo grido di aiuto, condurranno Emma alla disperazione tanto da trovare rimedio in una morte lenta e straziante. Neanche la grigia dedizione o le arti mediche di suo marito possono nulla contro quella fame insaziabile e insaziata, quel senso di vuoto interiore proprio non solo dell’animo femminile ma dell’umanità tutta.

Emma Bovary quanto Costance Chatterley non cercano l’amore fine a se stesso bensì una speranza di affermazione nella nelle rispettive società, quella francese del 1856 e quella inglese del 1928, che le ha volute incomplete e accomodanti, dando loro solo l’impressione di una possibilità di scelta. La meta finale in entrambi i casi è quella della ricerca di un appagamento, di una vera ragion d’essere. Quella di Emma, scoperta prima attraverso le letture e compiaciuta da liasons tempestose e sofferte, epiloga nella morte: così Flaubert, figlio del suo tempo, sardonicamente avverte il lettore dell’impossibilità di successo in questa ricerca, compatendo e stigmatizzando allo stesso tempo la sua protagonista.

Non c’è dubbio che Herbert Lawrence abbia ripreso le fila di Madame Bovary, ma nella sua opera si approccia alla materia con spirito diverso: la ricerca di una ragione di vita porta a un risultato ed è insito nella potente riscoperta della sessualità. Con questa chiave di lettura le donne del suo secolo potranno reinterpretare il proprio ruolo e guadagnarsi il diritto a un’esistenza piena, da protagoniste, distanti da qualsiasi tipo di sterilità affettiva incarnata in questo contesto dal personaggio di Clifford Chatterley.

I due romanzi finiscono così per deragliare violentemente verso due finali divergenti e con soluzioni controverse. Eppure resta evidente come dalle ceneri di Emma Bovary nasca una nuova eroina pronta alla battaglia, investita dalla modernità del secolo cui appartiene. Se vogliamo leggere le somiglianze tra le protagoniste, infatti nulla ci vieta di vedere in Costance Chatterley una vittima di bovarismo, ma che, infine, non senza complicanze, ce l’ha fatta.

 

(Articolo di Elisa Bisson)
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