Una nazione basata sul razzismo

La radice della schiavitù nel XIII emendamento

di / 13 giugno 2020

È tornato di grande attualità negli ultimi tempi il documentario di Ava DuVernay XIII emendamento, uscito nel 2016 e disponibile in streaming su Netflix. Il motivo del nuovo successo sono le manifestazioni anti-razziste esplose in tutto il mondo a seguito dell’omicidio di George Floyd da parte di quattro agenti di polizia a Minneapolis.

La tesi del documentario – potentissima e spaventosamente verosimile – è che negli Stati Uniti l’abolizione della schiavitù non sia mai di fatto avvenuta. Semplicemente è cambiata la veste legale che permette allo stato di sfruttare il lavoro delle persone, soprattutto di origine afroamericana. Il perno giuridico che ancora oggi consente lo sfruttamento sarebbe appunto nel XIII emendamento alla costituzione statunitense approvato nel 1865.

Nel testo si legge: «Né la schiavitù né il servizio non volontario – eccetto che come punizione per un crimine per cui la parte sarà stata riconosciuta colpevole nelle forme dovute – potranno esistere negli Stati Uniti o in qualsiasi luogo sottoposto alla loro giurisdizione». La parte centrale è l’inciso. Secondo i numerosi attivisti, professori, storici ed esperti di diritto intervistati da Ava DuVernay, dall’approvazione del XIII emendamento è iniziata una crescita continua della popolazione carceraria soprattutto negli stati del sud, privati della forza lavoro gratuita della schiavitù. I detenuti sono diventati in poco tempo la nuova manovalanza da sfruttare a costo praticamente zero.

Dal 1865 inizia anche una sistematica definizione della popolazione afroamericana come pericolosa e violenta. Il culmine di questa mistificazione è Nascita di una nazione di David Wark Griffith, torrenziale film del 1915 che racconta la transizione causata dalla guerra civile americana. Per estrema brevità diciamo che i neri sono rappresentati come belve affamate di carne bianca e il Ku Klux Klan come un esercito di santi.

Nascita di una nazione ebbe un impatto culturale enorme, lodato da presidenti e mostrato a lungo nelle scuole. Oggi è fortemente criticato per i suoi contenuti (basta pensare alla riappropriazione del titolo operata da Nate Parker nel poco riuscito The Birth of a Nation). L’impronta che ha contribuito a lasciare nell’immaginario collettivo statunitense è però ancora profondissima. I neri fanno paura, i neri sono crudeli. Questo sentimento nazionale porta inevitabilmente a un razzismo di sistema che autorizza abusi e incarcerazioni sommarie.

Ci sono due dati riportati in XIII emendamento che fanno riflettere più di tutti gli altri. Il primo: la popolazione collettiva degli Stati Uniti è pari al 5% di quella mondiale, ma i detenuti statunitensi sono il 25% del totale degli incarcerati in tutto il mondo. Il secondo: nonostante i maschi afroamericani rappresentino circa il 7% della popolazione, sono più del 40% delle persone attualmente in carcere.

Ava DuVernay segue la crescita del numero dei detenuti dagli anni Sessanta a oggi attraverso la demonizzazione dei movimenti per i diritti civili e l’esaltazione della war on drugs di Nixon e Regan. C’è spazio, anche, per gli errori di Bill Clinton, responsabile della draconiana “legge del terzo strike” che prevede pene molto severe, fino al carcere a vita, per i recidivi che vengono condannati per tre volte per reati simili, anche di piccola entità.

Questa enorme massa composta da circa 2 milioni e mezzo di persone in carcere lavora per produrre capi di abbigliamento di marchi famosi in tutto il mondo per pochi centesimi l’ora.

Siamo davanti a un documentario sicuramente a tema e che non si fa problemi ad assegnare responsabilità e indicare colpevoli. DuVernay fa cinema politico, più che civile, da sempre (pensiamo a Selma o alla miniserie Now They See Us). La ricostruzione di XIII emendamento, però, è perfetta per mostrare e spiegare il livello di razzismo istituzionalizzato con cui devono convivere i cittadini afroamericani statunitensi.

XIII emendamento è disponibile anche in streaming gratuito su YouTube a questo link, grazie a Netflix

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