Eppure la fiesta continuava senza sosta

Storie di eccessi e di vuoti in Hemingway e Fitzgerald

di / 10 settembre 2020

Cinque donne per strada di Ernst Ludwig Kirchner

Due autori agli antipodi per stile e contenuti ma spesso accomunati dall’epoca storica che hanno vissuto: entrambi appartenenti alla famosa Generazione Perduta di cui fanno parte tutti gli scrittori che vissero la loro giovinezza durante la Grande Guerra. Ma ciò che hanno in comune Francis Scott Fitzgerald e Ernest Hemingway trascende la mera biografia e approda nelle loro opere: in particolare in Belli e Dannati e in Fiesta (di cui si segnalano qui le edizioni più recenti, rispettivamente Feltrinelli, 2019 e Mondadori, 2016).

Lo stile ornativo e pungente del primo e quello schietto e intenso del secondo farebbero sembrare l’accostamento di questi due romanzi impossibile, eppure entrambi finiscono per intonare un inno comune alla generazione degli anni Venti: è quindi nella storia dei personaggi che le voci assolutamente contrapposte si fondono per dare vita a due epopee che sembrano essere l’una il complemento dell’altra. Così Hemingway e Fitzgerald arrivano a raccontare una vicenda unica, reale, storica e soprattutto autobiografica.

Anthony e Gloria Patch, due giovani benestanti, sono i protagonisti di Belli e Dannati, alter ego dell’acuto Fitzgerald e la bella e emancipata moglie Zelda. Nei toni decadenti tipici del suo autore, Belli e Dannati procede minuziosamente a raccontare il declino di un matrimonio, logorato da insicurezze e insoddisfazioni, alimentate dalla loro paura che tutto possa finire in fretta: Anthony esteta viziato e vezzoso e Gloria attratta dagli agi e irrefrenabile nel perseguire il sogno di diventare un’attrice: «Era fantastica; esplodeva di vita, era una fatica straziante racchiuderne la bellezza in un solo sguardo».

Se in un primo momento pare possano trovare nell’amore una ragione per esistere, la vita oziosa della ricca New York dell’anteguerra e del pre-proibizionismo sembra incalzare i due giovani a cercare rifugio nell’alcool, nelle feste più glamour, negli accadimenti mondani. Resta palpabile nel corso del romanzo un’irrequietezza di fondo, un innato disagio causato forse dal clima teso che spirava dall’Europa in guerra. Si innesca tra Gloria e Anthony un processo di frenetica corruzione spirituale che mina il loro matrimonio ormai senza aspettative, senza stimoli, diventano fantasmi ripetitivi di loro stessi e preferiscono l’ebbrezza dell’alcool che stordisce e impedisce di razionalizzare quell’insensato vivere che entrambi subiscono. Siamo negli anni Dieci del Novecento.

Tra scandali e tradimenti il ritmo serrato della vita fuori controllo sembra cristallizzarsi quando il ricco nonno di Anthony disereda la coppia lasciandola senza denaro: lo recupereranno solo a fine romanzo, quando i coniugi si ritrovano e decidono di partire alla volta dell’Europa: siamo nel 1921, la guerra è terminata e il romanzo sembra chiudersi, nel migliore dei modi, illuminato da uno spirito propositivo di cambiamento incarnato dalla meta europea.

Fitzgerald imputa alla ipocrita politica del moralismo americano la responsabilità di aver contribuito a costituire la radice amorale dell’eccesso e della corruzione dei protagonisti: dissolta la nube temporalesca della Grande Guerra, l’Europa sembrerebbe la Mecca dei coniugi Patch e di quella “generazione perduta” bella e dannata che rappresentano appieno. Hemingway dal canto suo dimostra con Fiesta quanto la visione di Fitzgerald fosse illusoria.

Siamo negli anni Venti in Europa: Jake e i suoi amici sono americani e britannici espatriati in viaggio tra Francia e Spagna. La loro è una storia di inquietudini burrascose, curata nei dettagli. In questo modo la vicenda di Anthony e Gloria si fonde in quella dei protagonisti di Fiesta: l’allontanamento dagli Stati Uniti, non sembra aver giovato a quell’aura di disgregazione morale e sofferenza che grava sui personaggi.

Vivido lampeggia a intermittenza il ricordo della guerra che ha segnato interiormente Jake: le profonde cicatrici procurate dalla leva al fronte italiano e la traumatica impotenza lasciano emergere il comune sentimento di intima solitudine e vanità esistenziale così presente anche nell’opera fitzgeraldiana.

Jake Barnes, ex soldato e giornalista, è innamorato della sua amica lady Brett, un turbine di vitalità, donna sfuggente che annienta e travolge chiunque incontri sul suo cammino: è il legante della compagnia che trova in lei il suo centro di gravità. Hemingway descrive così un microcosmo fatto di amicizie dall’equilibrio precario, tensioni sessuali, amori non corrisposti che opprimono tutto il gruppo che pure rimane coeso, spaventati come sono dall’isolamento, assuefatti al caos lenitivo della reciproca compagnia.

Di questi triangoli amorosi Brett e Gloria sono il fulcro, l’oggetto di desiderio ma al contempo volubili donne che giocano annoiate con il cuore degli amanti come se non potessero farne a meno, come se non potessero che divorare per sentirsi piene. E Anthony, come Jake, offre in pasto corpo e anima, come se non potesse che lasciarsi divorare per sentire di avere uno scopo. Il leitmotiv di questo massacrante delirio amoroso resta l’impossibilità di vivere appieno il sentimento, perché bloccato da un’incompletezza di fondo: leggerezza morale nei Patch, virilità minata nel caso di Jake.

Allora torna in Fiesta come in Belli e Dannati, l’ebbrezza che spezza la tensione che annienta quel senso di incompiutezza e spinge alla ricerca del brivido estremo fino a riafferrare l’illusione del piacere: tra i vapori di whisky and soda e birra spagnola i protagonisti raggiungono Pamplona per assistere alla cruenta corrida, che è in grado di proiettarli verso uno stato di estatica contemplazione dell’ancestrale violenza  collettiva. La morte come forma di stordimento estremo, come un intrattenimento verso cui si resta indifferenti, persino quando l’uomo viene incornato a morte dal toro sotto i propri occhi: i personaggi portano dentro di sé un vuoto che infine, neanche la morte stessa può sanare.

Come Gloria e Anthony, così i giovani espatriati vivono il terrore del silenzio, della riflessione e del dolore, stati emotivi che portano alla ricerca dell’eclissi dell’io attraverso eccessi che costituiscono, sì un anestetico, ma anche stimolo a sentirsi presenti nella loro vita sconclusionata. Per questo i dialoghi inconcludenti di Hemingway, questa la ragione delle descrizioni frivole di Fitzgerald: due modi diversi ma convergenti di rendere l’incomunicabilità di quella generazione che è anche la loro.

Eppure un tentativo vano di cambiamento viene portato avanti nei momenti in cui i protagonisti vengono posti davanti al decadimento e all’imperfezione del loro stile di vita. L’estremo tradimento dei diseredati Patch e il malessere fisico di Jake causato dall’abuso di alcool e dalla fuga d’amore di Brett con un torero, trovano dunque punto di unione. Se nel primo caso la risposta alla domanda fatidica resta sospesa ma densa di aspettative, Fiesta sembra inconsapevolmente riprendere proprio dal punto in cui Belli e Dannati si interrompe e dare una risposta definitiva: Jake cadrà di nuovo nella tela di Brett, tornerà da lei schiavo delle sue suppliche, con lei berrà di nuovo il primo di molti bicchieri che aveva promesso di evitare.

Se quel senso di irrequietezza e incompiutezza può essere ricondotto nel caso di Jake al trauma non elaborato della guerra, lo stesso può dirsi dei Patch ancor prima che questa scoppiasse: si tratta quindi di una condizione interiore costante, uno stigma che il conflitto mondiale ha solo alimentato ma non generato. L’insofferenza della loro generazione è innegabile e senza uscita, è atopica perché è l’unico bagaglio di quei giovani expat. Che sia in Europa o negli Stati Uniti sono destinati a portarsi dentro il malessere e il vuoto interiore e a ripetere gli stessi errori senza tregua, ormai agonizzanti in quella loro condizione autoinflitta.

In questo modo i due autori attraverso la letteratura tessono indipendentemente le proprie vicende in un ciclo continuo che nasce nell’antefatto di Belli e Dannati e sviluppa nella risposta di Fiesta: Hemingway e Fitzgerald compongono a quattro mani un manifesto univoco di quella Generazione Perduta a cui appartenevano e che ci appare però ancora attuale, scontrandoci come siamo abituati a fare, con le sue stesse fragilità.

  • condividi:

Comments

News

effe

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

“effe – Periodico di altre narratività” numero dieci

Archivio