Ogni possibile maternità

“La figlia unica” di Guadalupe Nettel

di / 1 marzo 2021

Copertina di La figlia unica di Nettel

Essere o non essere madre, il dilemma di una nuova generazione di donne che si trova a fare i conti con i retaggi legati alla maternità e al ruolo della donna come madre, un passato prossimo che talvolta ha il sapore amaro di un futuro anteriore.

Ma poi che vuol dire essere madre? È soltanto un’etichetta da scrollarsi di dosso? Per parlare di un simile argomento ci vuole una donna. Una donna che parli la lingua delle donne, ma che sappia tradurla in scrittura universale. Questo è quanto riesce a fare Guadalupe Nettel nel suo nuovo romanzo, La figlia unica (La Nuova Frontiera, 2020, trad. Federica Niola), mettendo in scena la storia di Laura, Alina e Doris, che raccontano e si raccontano con commovente onestà.

Salutata come una delle voci più significative della letteratura latinoamericana contemporanea, la scrittrice messicana si addentra in una materia atavica, ostica, che porta con sé l’eco di tutta la fragilità umana. Senza alcuna retorica né facili sovrastrutture, Nettel analizza fin nel profondo il concetto di maternità e lo fa guardando da tutte le possibili angolazioni.

Forse è proprio per questo che sceglie gli occhi e la voce di Laura per narrare la storia, una donna che si è fatta chiudere le tube per non cedere alla «tentazione della gravidanza», una studiosa che vuole concentrarsi su se stessa e concepisce la propria tesi di dottorato come il frutto del suo grembo cerebrale. Nettel ha bisogno di uno sguardo capace di vivere sia la negazione che la possibilità dell’essere madre, uno sguardo non incastrato nel meccanismo che spinge l’individuo alla ricerca spasmodica «di concepire a ogni costo».

Sarà Laura quindi a raccontare la maternità dolorosa della sua amica Alina, apparentemente condannata a partorire la morte, dando alla luce un essere malato, capace solo di appassire velocemente. (A questo proposito, ovvero sul legame tra maternità e morte, segnalo l’illuminante riflessione di Nadia Terranova, La domanda più scema: “E tu, figli?”). Sempre Laura a raccontare la maternità complessa e claustrofobica della vicina di casa Doris, che nel figlio rivive la possessione delle violenze subite.

Può una donna che ha scelto di non voler essere madre parlare di maternità? Sì, perché bisogna andare oltre un discorso sterilmente biologico. È necessario procedere per scarti e scelte non convenzionali. Che poi, in fin dei conti, benché i dettami sociali sembrino convincerci del contrario, non può esistere convenzione quando si parla di donna, né quando si parla di maternità.

Sullo sfondo di questa narrazione corale si staglia il Messico, perennemente in lotta con le sue tante anime. Un Paese non in grado di assicurare alle donne la pienezza dei propri diritti, dove si ha paura a uscire per strada in certi orari e le donne muoiono senza che si parli di femminicidio, dove i collettivi femministi combattono per affermare che un altro presente può esistere. «La cosa certa è che nella nostra società i figli sono assegnati ai padri in modo facoltativo e alle madri obbligatoriamente», non basta altro che un «fiotto di sperma», «un gesto di una leggerezza offensiva», e ci si ritrova padri forse solo per un momento e madri per tutta una vita.

In La figlia unica, le figure maschili vivono di riflesso rispetto alle donne con cui interagiscono: una scelta ben precisa dell’autrice di tratteggiare un universo femminile che si stringe su se stesso per darsi forza. E se a un primo sguardo sembra quasi che lo stigma sociale della maternità che divide le donne in compartimenti stagni – le madri, le non madri per scelta, le non madri per impossibilità biologica – sia un muro invalicabile, questo viene frantumato da Nettel, la quale ha la capacità di detergere i nostri occhi offuscati dalla pigrizia dei pregiudizi per metterci di fronte a un affresco vivo e cangiante.

La maternità è qualcosa di permeabile ed è la natura stessa a mostrarcelo. Ritorna, quindi, il parallelismo con il mondo animale, così caro all’autrice che si è già fatta conoscere con il corroborante Bestiario sentimentale (La Nuova Frontiera, 2018, trad. Federica Niola). Dall’osservazione dei due piccioni che hanno scelto di nidificare sul terrazzo di Laura, probabili vittime consapevoli del parassitismo di cova, i piccioni e il loro figlio/non figlio diventano il simbolo di tutte le possibili maternità.

I piccioni non temono di affrontare una maternità non biologica e si stringono a formare una famiglia, liberi dalle imposizioni sociali e dalle gabbie di regole in cui spesso noi ci rifugiamo, andando così oltre quella famiglia biologica che occorre desacralizzare se non più in grado di essere nucleo valoriale.

E come vive una maternità che ti spinge a mettere al mondo un essere per poi disfartene o portarti a dire che sarebbe stato meglio non averlo, c’è anche quella che ti porta a non procreare per scoprirti infine ad accudire un figlio non tuo per cui ti senti in qualche modo responsabile. Perché se esiste un amore che sembra svilupparsi per forza di cose dall’utero, esiste anche un «amore lieve e insieme intenso di chi non è costretto a rimanere». «Abbiamo sempre accudito i figli delle altre, e le altre donne ci hanno sempre aiutato ad accudire i nostri», in un eterno ciclo che alla fine sembra volerci tutti partecipi.

Gioia, sofferenza, fatica, soddisfazione, La figlia unica appare come una comédie humaine femminile che racconta le donne attraverso una prosa che ne restituisce con limpidezza e toni anche ironici le paure, le aspettative, i desideri. Memori della saggezza buddista che ci ricorda che nulla di quanto costruiamo è per sempre, Nettel esorta a squarciare la cortina che ci costringe a pensare noi stessi per categorie definite, e predisporci al cambiamento.

Così la stessa carta pescata dal mazzo di tarocchi può raccontare due storie diverse, perché tesaurizzando l’insegnamento che ci arriva dal mondo animale occorre tenere a mente che la maternità o la sua assenza è comunque una storia di resistenza e che il libero arbitrio «consiste nel modo in cui prendiamo le cose che ci tocca vivere».

 

(Guadalupe Nettel, La figlia unica, La Nuova Frontiera, 2020, trad. di Federica Niola, 224 pp., euro 16,90, articolo di Giulia Eusebi)

 

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