«La letteratura può dare cittadinanza a Satana»

“Contro l’impegno” di Walter Siti

di / 27 maggio 2021

Copertina di Contro l'impegno di Walter Siti

Impossibile parlare dell’ultimo libro di Walter Siti – il pamphlet Contro l’impegno (Rizzoli, 2021) – senza partire dal penultimo, uscito nella primavera del 2020. O meglio: impossibile no, ma forse meno interessante.

All’inizio di La natura è innocente (Rizzoli), Siti scriveva infatti: «[…] raccontando soltanto la verità mi sento in gabbia […]. Saranno sufficienti i pensieri indimostrabili, le licenze poetiche, le prevaricazioni sui defunti? Le allusioni ambigue, le immersioni palombare, le inferenze per pura vischiosità narrativa, insomma, lo (parola ormai impronunciabile) stile?».

Dalla forma romanzo alla forma pamphlet, la preoccupazione teoretica di Siti non cambia e in questa seconda ondata del suo “sconforto militante” si appoggia alla forma del saggio breve (anche se, a ben vedere, tutta la sua produzione autofinzionale è sempre impregnata di lacerti metaletterari). Contro l’impegno è infatti la raccolta di saggi diversi, scritti in vari momenti degli ultimi anni e apparsi dapprima come long form e editoriali su riviste e quotidiani, tutti foggiati dalla volontà di salvaguardare la letteratura e la letterarietà dei testi. Perché, come recita il fulminante inizio di uno dei capitoli, «Difendere la letteratura non è meno importante che difendere i migranti».

Ci si chiederà, forse, chi si stia adoperando per questo crimine, chi sono cioè quegli scrittori e quelle scrittrici, quelle figure intellettuali che oggi «si comportano con la letteratura come molti maschi si sono sempre comportati con le donne: la esaltano pur di non prenderla sul serio».

Se in La natura è innocente si poteva indovinare un nemico astratto e trasversale nella produzione letteraria che di continuo stringe un patto diabolico con il linguaggio denotativo e semplificato che intende la scrittura come monocorde trascrizione, in questo pamphlet i contorni sono più nitidi, il referente polemico è più empirico, e le questioni da dirimere si dispongono per cerchi concentrici.

La ricognizione dell’esistente estetico è dispiegata su più fronti e si farebbe un torto a pensare che cultura alta e cultura bassa vengano divise, nell’analisi di Siti, da un crinale informato di snobismo: da Roberto Saviano a Michela Murgia, passando per l’autrice bestseller Valérie Perrin, alle stereotipanti narrazioni sui migranti, fino al modello di letteratura empatica e accogliente di autori come Gianrico Carofiglio e la poesia social di Franco Arminio, per arrivare al Weinstein di Emma Cline raffigurato in Harvey, è il caso di dire, con un’espressione popolare, che ce n’è per tutti e tutte. Non da ultimi: i talk politici, Non è la D’Urso e il Grande Fratello, il ruolo giocato dalle piattaforme nel processo di narrativizzazione delle vite di tutti («Facebook è adesso il grande libro della storia umana»).

Walter Siti opera come mirabile punto d’intersezione tra il pop e il colto: con una serietà adamantina, passa agilmente dalla Commedia dantesca alla disamina di un rotocalco Mediaset, accordando gli strumenti del mestiere di critico sulle frequenze del prodotto di volta in volta vivisezionato.

In questo senso, Siti è una “bestia rara” nel panorama culturale nazionale: ex normalista e professore universitario, è dall’inizio della sua produzione che il rigore analitico viene equamente distribuito nello spettro che va dalla sua ossessione per i corpi dei bodybuilder alla curatela del corpus pasoliniano.

Il suo vitalismo è radicale nel prendersi la briga della complessità dell’umano, così come la sua produzione letteraria non scarta di lato quando la lingua interiore chiama a far esistere nero su bianco possibilità esistenziali per molti irricevibili, come sono i temi dell’incesto, delle fantasie pedofile, della prostituzione d’alto borgo, del desiderio incontenibile.

Inoltre, nel suo mestiere di critico Siti fa quello per cui i critici dovrebbero esistere e prosperare: guarda ai testi al di là della loro ideologia di riferimento, della public persona autoriale («Le opere letterarie si devono valutare per ciò che sono o per ciò che i loro autori sono diventati?»), e delle ricadute politiche.

La sua militanza letteraria antiumanistica obbedisce a concetti come quelli di espressione formale, qualità, credibilità ed effetto di realismo del testo letterario: questioni che, ad oggi, sembrerebbero essere un po’ demodé.

È una militanza, quella di Siti, che si scaglia contro pericoli tanto formali quanto contenutistici che si possono schematizzare grosso modo così: la questione dello stile e il dibattito sul ruolo sociale della letteratura.

E tuttavia, dal momento che «In generale in tutta la storia della letteratura è sempre stato chiesto a quest’ultima di essere morale ma la complessità non veniva scoraggiata», tra questi Scilla e Cariddi – “dover rappresentare il bene” e “dover semplificare la forma” – Siti mostra più sospetto rispetto alla questione dello stile «ormai gravato da uno stigma morale», e in generale rispetto al fatto che molti autori e molte autrici oggi preferiscono «il clamore dell’impegno pubblico alla privata vergogna dello stile».

Il minimo comune denominatore della renaissance della non-fiction narrativa, incarnata appieno da Saviano (ovvero la letteratura che si “giornalistizza”), sembra essere la volontà di scrivere in modo oggettivo, di esprimere una scrittura non soggiogata da pulsioni, ossessioni, idiosincrasie, come se a monte ci fosse l’idea che la soggettività depauperi e non arricchisca.

Questi due campi epistemologici – giornalismo e letteratura – andrebbero salvaguardati nelle loro specificità, perché «Ciò che il giornalismo militante fa contro la repressione, la letteratura lo fa contro la rimozione inconscia»: la letteratura, lungi dal doversi rendere oggettivo-giornalistica, si nutre di una epistemologia “libera”, adogmatica e che prospera nello smarrimento, e va da sé che chi legge, di volta in volta, possa provare sconforto, disagio, disgusto: «il lettore deve essere manipolato e se questo non lo aiuta a vivere, tanto peggio per il lettore».

La concezione moralista – e non morale – di chi è convinto che la letteratura debba essere edificante e avere uno statuto netto, stando “dalla parte giusta”, viene fermamente messa alla berlina da Siti: «[…] io penso che la letteratura possa spingerci all’odio, degli altri e di noi stessi, e possa arrivare a farci dubitare di qualunque verità; che serva a mettere ordine nel caos, ma anche caos nell’ordine. Politicamente la letteratura è sempre inaffidabile».

Forse “politicamente” la letteratura è davvero inaffidabile e non impugnabile, eppure mi domando: esiste qualcosa di più politico che sovvertire abituali e preconfezionati schemi di pensiero per avvicinarsi alle sfumature dell’Altro diverso da sé? Un Altro che può essere colpevole, abietto, deprecabile: lo si vede bene nel capitolo che Siti dedica alle narrazioni italiane degli ultimi anni sui migranti, i quali sono spesso ritratti nella loro dimensione di vittime, buoni e vulnerabili, e molto meno spesso presi sul serio come soggetti reali capaci di provare una gamma infinita di emozioni. Citando Insegnare al principe di Danimarca di Carla Melazzini: «Non è corretto ridurre i poveri al ruolo di vittime… esentandosi dal peso della rabbia e dell’odio che allo status di vittime si accompagna».

Pensare, tuttavia, che il testo conduca verso un vicolo cieco di nichilismo sarebbe sbagliato: la letteratura ha la facoltà di sostenere cause etiche e/o politiche senza mortificare le proprie potenzialità conoscitive.

Così come in Vite che non sono la mia di Emanuel Carrère abita «l’assoluta onestà intellettuale ed emotiva, la naturale incapacità di aderire agli stereotipi», anche «stratificare il testo stesso come una struttura dialettica perennemente aperta al dubbio» nonché «accogliere una Parola che non conosciamo ancora» – non ingabbiando il testo nella lingua standard, la “lingua-per-letteratura” – sono il viatico proposto da Siti.

Per me la cattiva notizia è che non sembra affatto facile. Quella buona è che diagonalizzare lo sguardo e non lasciarsi andare alla compiacenza a tutti i costi è l’unico modo per difendere la letteratura.

 

 

(Walter Siti, Contro l’impegno. Riflessioni sul Bene in letteratura, Rizzoli, Milano 2021, pp. 272, euro 14. Articolo di Silvia Gola)
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