Storia di un corpo

“Liquefatto” di Hilary Tiscione

di / 12 ottobre 2021

Copertina di Liquefatto di Tiscione

Liquefatto (Polidoro editore, 2021) è il racconto di una crisi interiore che si riversa potentemente sul presente e sulla vita. Il romanzo della genovese Hilary Tiscione si presenta come una storia dal grande respiro: dall’Italia, dove vive Maddalena, la giovane protagonista, agli Stati Uniti di Los Angeles prima e Las Vegas dopo, dove si sposterà la narrazione nella seconda parte.

Di Maddalena si conosce poco ‒ solo ciò che condivide lei stessa: convive con Romano in una relazione che cede sotto il peso dei non detti e dei numerosi tradimenti che si consumano al di fuori delle mura domestiche, il ritmo dettato dall’uso di droghe e una frenetica ricerca del diverso, dell’audace. Ne conosciamo i pensieri, le domande, persino le manifestazioni corporee: il corpo femminile con i suoi smottamenti subisce in queste pagine i colpi dell’insoddisfazione e della sregolatezza, in parte a essi adattandosi, in parte piegandosi. Quello di Maddalena è un corpo avido e fragile, in continua lotta, e sarà proprio attraverso quel corpo che Tiscione svilupperà la struttura del proprio libro.

Il deus ex machina di una routine così mal sofferta arriva via e-mail: due biglietti aerei, uno per Maddalena, l’altro per Lia, una sua amica, gentilmente offerti da Romano. Destinazione Los Angeles, dove vive Tito, vecchio conoscente ed emblema di uno stile di vita tanto caro ai sogni più segreti di Maddalena. Nonostante la scoperta di una gravidanza inaspettata, partire è l’unico imperativo per non soccombere in quella scatola emotiva che è diventata l’esistenza di Maddalena.

Ma anche in America persiste un sentimento claustrofobico che trova terreno privilegiato negli ambienti chiusi: la stanza di un hotel, una festa psichedelica, un’automobile che viaggia nel deserto del Mojave. Anche quando mutano le coordinate geografiche e si allargano gli orizzonti – gli straordinari orizzonti del paesaggio naturale americano –, non c’è spazio sufficiente per respirare a pieni polmoni e la voglia di evasione si rivela essere solo il pretesto personale e narrativo per raccontare una rottura insanabile.

«Avevo inteso di avere dentro qualcosa che non capivo neppure io, un’obliquità amara verso il dispiacere, un’unione scabrosa con gli artifici del dolore, un accostamento curioso agli esiti ammaccati delle parole.
Non ho fatto altro che abbassare gli occhi sulla punta del mio stivale nero, sulla pelle in fondo alle unghie dei piedi e poi su per il collo e ancora sull’estremità ultima di una scarpa che non c’entrava più nulla con me.
Tito ha detto ehi qualche volta. E un po’ come il mio compagno di scuola ritardato non conteneva la bava, io non tengo il pianto e vorrei essere il ritardato di cui non ricordo il nome e vorrei sparire dietro una cinta di giacche imbottite e avere la sua ragione per patire senza riserbo e poi magari ridere come faceva lui, il gigante storpio che s’incurvava come un ramo giovane.
Sei incinta?»

La vita di Maddalena non conosce pause e alterna l’eccesso dell’ebbrezza effimera del momento alle conseguenze delle numerose relazioni disfunzionali che ha voluto e quasi tutelato a ogni costo, anche a discapito della propria incolumità fisica e mentale.

L’architettura del romanzo non è indenne da questo stato semiconfusionale, da questa materia liquida in cui realtà e finzione si scambiano di continuo il ruolo straripando dai loro confini consueti: in Liquefatto mancano “i grandi insegnamenti” che ci si aspetterebbe di trovare da narrazioni così intense. La scrittura, a sua volta, asseconda questo andamento sconnesso e viene caricata di espressioni metaforiche dichiaratamente esagerate. Il risultato è una realtà che è finzione e una finzione che è realtà.

 

(Hilary Tiscione, Liquefatto, Polidoro Editore, 170 pp., euro 14, articolo di Giovanna Nappi)

 

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