A gara col prete

Se sei credente e in crisi (sentimentale, professionale, amicale, -ale) ti può capitare, in un pomeriggio di trionfo di barocco romano, quando 1. tutto prepotentemente arancioneggia e ti si piegano le gambe dalla bellezza 2. hai trovato posto su via di Monte Caprino senza nemmeno doverlo cercare 3. hai raggiunto il Centro dalla Facoltà in 10 minuti e ti senti miracolato (e cretino: perché non lo fai sempre?!)… ti può capitare di imboccare d’istinto nella bella Chiesa proprio di fronte al distaccamento della Regione Calabria nella Capitale. Avrà un nome, la chiesa, ma non mi interessa; anche la via ce l’avrà, ma tant’è: se sei di Roma hai capito, se non lo sei cercami e ti ci porto (promesso).

Bella, maestosa, barocca. E vuota. Giri, vai per l’essenziale (Vangelo del giorno, quadri, bello il fondo pare tanto Bernini… ma che m’importa di chi è, mica è un marchio! – effetto Caravaggio: dannati marketers…). Ti siedi. Segui i tuoi percorsi mistici, ti commuovi, realizzi che non è Lunedì ma Martedì e che hai letto il Vangelo sbagliato e ti dici la devo smettere di dare senso a coincidenze errate o faccio la fine dei barboni spara-santini.

Poi, attaccano le vecchie, le due venti panche avanti a te: Rosario diatonico. Pensi “Ammazza, agonico ma bellissimo!”. Ti dici: sì, è vero, è proprio come un mantra; sì, è vero, solo le donne lo riescono a recitare perché noi maschietti due palle… serotonina vs. testosterone: solo l’idea di stazionare ogni giorno a ripetere una litania mi schianta ogni iniziativa, mi toglie l’appetito; sì, sono molto intelligente, collego sempre le cose, ambisco alla pan-semia dell’esistente (“Bella, me la segno!”); sì, sì sì e via lodandomi.

Din din din…

Inizia la Messa. Siamo in cinque: io, le vecchie bitonali, un vecchino bastonato, il prete. Navata immensa, posto per almeno cinquecento persone, e siamo in cinque. Va bene, è Lun… Martedì, pardon. Va bene, sono le 18:30. Va bene…

No, non va bene. Io ho lavorato, fatto il mio, sto per fare altro, mezzora si trova. Messa o non Messa, fa lo stesso, conta il principio: meditazione, mostra, due passi in giro, gelatino, che ne so, ma mezzora si trova. Io credo, a me fa bene messare; eppure non ci vado mai. Ci capito. Penso sempre di avere altro (di meglio) da fare. E non è vero (eh no…): mezzora si trova.

Mi fa tenerezza, zi’ prete.  È un cucciolo in un parrocchia del Centro e officia a (letteralmente) 4 gatti sparpagliati (eccezion fatta per le vecchie) per i banchi (io scelgo sempre l’angolo in basso a destra: mi si nota di più se…). Non è proprio un successone, ecco. Penso “si farà (Dio mi perdoni) una sveltina”, l’aria è quella. Invece no: inaspettatamente, parte la vecchia. Canta. Stonata, sommessa e rauca orribile. Rilancia zi’ prete: microfonato, vince lui. Seeee! Non esiste: vinco io. Devo, vincere io. L’intruso molesto: dal fondo, villano (cit. culta…), apro e sovrasto.

E inizia il gioco al rialzo. Re-inizia la Messa. La vecchia legge bene, non più rauca, e scandisce; zi’ prete si rianima, lo “sento” (era ora) vigile presente e pastorale. Di colpo, siamo comunità, siamo ecclesiam. Una scoattata da pontarolo, la sponda del prete che pensa (lo so, lo so!) “Mo’ te fo vede chi comanna”, l’orgoglio stizzito della vecchia (che propone – infamissima… – un canto di chiusura da voci bianche: ma la frego scendendo di un’ottava…), e d’un tratto diventiamo, dal nulla intriso di mutua diffidenza di un minuto prima, comunità che prega affiatata. Impagabile, la chiosa/congedo de zi’ prete: “E buona serata a tutti”.

Mhm… Mi sa che ieri ha vinto Lui.