“13 sotto il lenzuolo” di Giuliano Pavone

di / 14 novembre 2012

È il nostro paese il protagonista di 13 sotto il lenzuolo (Marsilio, 2012), nuovo libro del giornalista sportivo Giuliano Pavone che offre al lettore una mitologia nazionalpopolare che diverte e rasserena i malinconici dei b-movies del fatto che, in fondo in fondo, quel gusto al “ribasso”, all’Italietta fanfarona e indisponente, al presente che “rovina sempre tutto”, è tutt’altro che è morto.

E non è morto perché la commedia sexy all’italiana, dei “siamo tutti voyeur” ma poi non si conclude niente, guardoni ma non troppo, furbi, furbetti e scapestrati, poveri ma belli, è ancora lì; c’è da qualche parte tutto questo, nonostante le banche, i SUV, le partite in televisione, internet, gli effetti speciali e tutto il resto, è lì, basta guardare, scavare, rintracciare.

Ed ecco allora che torna il padre con la canotta bianca insudiciata, il pranzo domenicale, l’aperitivo alla domenica, il sud che è come un “trerrote”, il film di Banfi o Buzzanca alla tv i pomeriggi d’estate quando ti trovi ad esaltare “Febbre da cavallo”, “L’allenatore nel pallone”, “Attila flagello di Dio”. E poi ci sono pure quelli che si vergognano e che pensierini sulla Fenech li fanno ancora.

L’Italia è anche questo ed è bella anche per questo, eterna provincia di un’Europa che ruggisce e si prende troppo sul serio. Noi no, noi ridiamo di battute trite e ritrite, volgari e perché no cafone.

Perché noi italiani è dalla terra che veniamo, altro che Rinascimento, Dante, Leopardi, Fellini e tutti gli altri, la nostra storia è un’eterna imperitura supercazzola.

E Pavone lo sa bene e prende in giro tutti noi: il grande Gatsby de’ noantri non solo s’avvicina al successo, lo raggiunge pure, ma con la truffa.

Un Tredici fasullo, come se quando il Totocalcio – che era il Totocalcio, quello sacro, quello di tutte le domeniche pure se diluviava – si potesse fregare veramente, un gioco che era come un’entità, qualcosa di superiore persino al Dio Pallone.

I ragazzi di oggi questo non lo sanno: in quella serie di 1, di X e di 2 c’era il calcio, quello vero – dei giocatori capelloni, dei mediani, dei gregari, dei portieri con i guanti troppo grandi, delle maglie di lana, dei colori opachi, dei Platini e Maradona che non erano Messi e Cristiano Ronaldo – non si poteva fregare, vinceva sempre Lui, il Tredici che non arriva mai, che ne manca sempre una.

Ma il deus ex machina funziona: una vittoria fasulla alla schedina innalza il furor maschio del protagonista che s’esalta sul corpo sognato e bramato di Morena Dani – soubrette di primo e secondo pelo, radice quadrata di eroine quali la Fenech, la Cassini e la Bouchet – e cala il sipario sugli anni settanta e a quell’aria un po’ naif  che il cinema di genere (quello delle commedie sexy) rappresentava al meglio.

A trionfare è la spregiudicatezza, il divertirsi sano degli amici, un meridione che respira futuro dagli oggetti antichi bruciati senza cura all’interno del libro, il vivere che va preso con un po’ meno serietà.

Ci piaccia o no, l’autore coglie nel segno, perché sotto il lenzuolo ci si finisce con l’astuzia e con l’intelligenza si fa il dopo. Altro che Miracolo Economico, yuppie e tutto il resto: l’Italia non è altro che una farsa e come tale non smetterà mai di esserlo.


(Giuliano Pavone, 13 sotto il lenzuolo, Marsilio, 2012, pp.224, euro 16)

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