“Chadži-Murat” di Lev Tolstoj

di / 4 luglio 2012


Questo breve romanzo storico di Tolstoj narra le gesta di un uomo forte e coraggioso. Un eroe in grado di cambiare la storia di un intero popolo. Chadži-Murat è un condottiero ceceno che, spinto dalle vicende politiche e personali, deve battersi per gli ideali di libertà e indipendenza. Il protagonista fa della propria vita una leggenda attraverso episodi di grande valore che vengono narrati: «Per tutto il pranzo si parlò solo di Chadži-Murat. Tutti, interrompendosi l’un l’altro, elogiavano il suo coraggio, la sua intelligenza, la sua magnanimità». 


Persino i suoi antichi nemici, che una tregua inaspettata ha trasformato in alleati temporanei, non possono fare a meno di riconoscere le sue doti eccezionali.


Il teatro della vicenda è l’impero zarista della metà del XIX secolo nelle mani di un governante vanesio e debole che cela la propria incapacità politica e militare dietro una cortina di sfarzo e feste galanti e al tempo stesso si abbandona ad atti di crudeltà estrema verso coloro ai quali rifiuta ogni confronto leale. La figura di Nicola I emerge in tutta la sua pusillanimità, ecco perché nel corso degli anni il libro ha subito più volte la censura.


Questo romanzo è soprattutto il confronto tra due mondi, due culture, due popoli con radici comuni ma in forte contrasto tra loro. Le lotte fratricide per il predominio della terra dilaniano intere generazioni: da un lato i ceceni, la vita nomade soggetta ai ritmi della natura, le notti sotto le stelle, le corse a cavallo per steppe sconfinate; dall’altro la raffinata corte dello zar, gli intrighi di palazzo, un esercito blasonato composto di cadetti «in brillanti uniformi».


Tuttavia non si può far a meno di notare il capovolgimento di prospettiva: non sono i potenti russi a ispirare la nostra simpatia ma le minoranze etniche ai confini dell’impero, accusate di barbarie e inciviltà, ma portatrici di valori inviolabili quali l’onore e la famiglia. 


Nonostante la guerra sia crudele e spietata, c’è sempre chi è pronto a elogiare l’uso delle armi e lo scontro a fuoco, Tolstoj attribuisce al giovane soldato Butler «un piacevole sentimento di gioia di vivere» alla vigilia di un agguato: «La guerra se la immaginava solo così, si esponeva al pericolo, alla possibilità di morire, e con ciò guadagnava decorazioni. L’altro lato della guerra: la morte, le ferite dei soldati, per quanto possa sembrare strano, non si presentava alla sua immaginazione. Egli inconsciamente, per conservare la propria raffigurazione poetica della guerra, a volte non guardava neanche i morti e i feriti».


È un romanzo cruento e crudele quello di Tolstoj e riporta alla mente Salammbô e il grido poetico di Flaubert: «Soyons féroces». Infatti i due romanzi illustrano le atrocità della guerra senza risparmiare i particolari più raccapriccianti. Ma che si tratti di Cartagine contro i mercenari all’indomani della prima guerra punica, o dell’impero russo contro i ribelli al confine, entrambi mettono in evidenza il ruolo degli interpreti. Questi grandi mediatori hanno un compito delicato poiché dalle loro parole dipendono le sorti delle nazioni. Chadži-Murat parla diverse lingue eppure deve affidarsi a un interprete.


Così come in Salammbô la rivolta dei mercenari scoppia in seguito all’uccisione degli interpreti:«Gli interpreti, che dormivano all’esterno, non sorsero in piedi né si mossero. Giacevano per terra supini, con gli occhi sbarrati, la lingua stretta fra i denti e il volto livido; un muco bianco colava loro dalle nari, e le membra erano irrigidite, come se il freddo notturno li avesse congelati».


Nonostante le stragi, i fiumi di sangue versato e la ferocia degli uomini contro i propri simili, una delle scene più toccanti lascia al canto degli uccelli l’ultimo commento: «Gli usignoli, che durante la sparatoria erano rimasti muti, si rimisero a cantare, prima uno vicino, e poi altri da un angolo lontano». Perché nessuna parola può realmente descrivere l’orrore della guerra. In Mattatoio n. 5, di Kurt Vonnegut, dopo il bombardamento di Dresda nel 1945, il canto degli uccelli echeggia nell’aria: «Poo-tee-weet». L’onomatopea del cinguettio esprime l’incomprensibile inutilità di ogni massacro.


 
(Lev Tolstoj, Chadži-Murat, trad. di Paolo Nori, Voland, 2010, pp. 198, euro 10)


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