“Esercizi sulla madre”: a tu per tu con Luigi Romolo Carrino

di / 17 gennaio 2013

Per quanto tempo si può aspettare senza perdere il senno? Per quanti anni si può riuscire a restare fermi, incastrati in un’immagine, concentrati su un movimento, intrappolati in una speranza e non impazzire? Scoraggiati a tratti, infreddoliti. E fermi. Mentre la vita continua lungo un binario impreciso tu ti sei fermato, seduto su un gradino. E aspetti.
Il 27 febbraio 1976 alle 21:06 Giuseppe, bambino, otto anni, si è seduto davanti alla porta chiusa della casa in cui viveva con i suoi genitori e ha aspettato che sua madre rientrasse a casa dalla salumeria. Sono passate dieci lunghe ore, ha fatto molto freddo e Giuseppe, nel buio della notte, bambino, ha avuto molta paura. Ma Madre non è tornata.
Esercizi sulla madre, terzo romanzo di Luigi Romolo Carrino edito da Perdisapop, è la storia di questa attesa, iniziata davanti a una porta chiusa e durata trent’anni di buio quasi totale e di pochi ricordi raccattati in quell’unica notte all’anno in cui Giuseppe, che oggi ha 42 anni ed è rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario, può risvegliare il proprio pensiero dal torpore farmacologico e risedersi su un gradino, davanti a una casa che non è casa sua ma che un po’ ci somiglia, per provare a capire cosa è successo, per fare “l’esercizio del ricordo”. Anche oggi che è un pazzo e non più bambino, per dieci lunghe ore cerca una ragione, un motivo plausibile per cui Madre possa averlo abbandonato. Scava dentro di sé alla ricerca del difetto, dell’errore che forse lo ha reso insopportabile a quella donna bionda con gli occhi azzurri e l’ombretto verde; costruisce dieci altre realtà, una per ogni ora, per sfuggire all’unica verità, la verità che in tutti questi anni ha preferito renderlo folle piuttosto che rivelarsi in tutta la sua bruciante tragicità.
«Dire il tuo nome con lo sguardo fa il male di averti perduta più dolce, a mezzanotte, sul vetro di qualsiasi finestra che ho di fronte. Lo guardo, il tuo nome da dietro la finestra con le sbarre, tutto l’anno tranne stanotte. Stanotte sono dall’altra parte del vetro, sono dalla parte giusta della porta, quella che si apre».

 

Cominciamo con le presentazioni. Chi è Luigi Romolo Carrino? E perché scrive?

Un informatico (per ora ex) prestato alla scrittura. Perché scrivo? Non saprei come rispondere. È una passione urgente. La scrittura è un fondamentale della mia vita, sempre stata. Sono tuttavia stato sedotto anche dall’informatica, la parte di ingegneria del software, anche questa una passione per gli algoritmi volti a soluzioni di automazione. E poi, scrittura e informatica non sono così distanti…

 

Esercizi sulla madre affronta due tematiche profonde e complesse, quella del rapporto tra genitori e figli e quella della malattia mentale e le affronta dal di dentro, assumendo il punto di vista dei tre personaggi coinvolti (Giuseppe bambino, Madre, Giuseppe adulto). Nel mettersi nei panni del bambino che ha paura del buio e teme il mostro spaziale di Vega è stato certamente aiutato dagli occhi del bambino che è stato. Cosa ha fatto, invece, per aiutarsi a pensare come un pazzo rinchiuso in un ospedale psichiatrico giudiziario?

Mi sono certamente documentato. Ho visitato alcuni OPG. Conosciuto molte persone con disagi psichici. Tuttavia, mi viene naturale trovare pensieri di una persona con problemi psichiatrici se cerco la forma dell’autenticità umana nel linguaggio della Poesia. Quelli che noi chiamiamo “pazzi” sono le persone che più di altre si avvicinano alla propria verità, più di altre riducono il gap tra la rappresentazione del sé voluta dal contesto in cui vivono e quello che naturalmente una persona è. Forse le ellissi della Dickinson e gli accostamenti sintattici della Gualtieri mi hanno aiutato. E poi, sono anni che studio il lavoro sulla memoria di Lurija.

 

Tre voci dunque, che prendono la parola alternativamente in un continuo andare avanti e indietro del tempo, ma ognuna con uno spazio preciso e circoscritto in cui esprimersi nelle dieci parti in cui è diviso il libro. E’ una rigida architettura che contrasta con il flusso dei pensieri, potente e violento tanto nel bambino quanto nell’adulto. Come mai ha scelto una struttura così ferma e ordinata?

Spesso si crede che un “pazzo” non abbia rigore nel pensiero. Non è così. Nel suo mondo funziona tutto secondo le sue regole, che non sono le nostre. E queste regole sono precise, è un sistema di riferimento esatto, scientifico, e quello che a noi “sani” risulta incomprensibile nella mente di uno psicotico ha la sua “ragione” di essere, il suo motivo, ha la sua struttura. Ho scelto di raccontare questa storia partendo dalle dieci tavole del test di Rorschach perché a guardarle superficialmente sembrano solo macchie d’inchiostro lanciate sul foglio da un bambino capriccioso. Invece, le macchie sono simmetriche, ovvero esiste una legge che ha guidato chi le ha create. Ho pensato che questo punto di partenza potesse funzionare per orientarsi nella mente di Giuseppe, per permettere anche a Giuseppe di orientarsi nel suo passato.

 

Un altro contrasto è quello tra il linguaggio, che è delicato, poetico e bellissimo, e i pensieri che esso veicola, così allucinati e dolorosi per la mente che li concepisce, ma anche per chi legge. E andando avanti si comprende che il libro procederà sempre in questo modo, un “esercizio del ricordo” dopo l’altro. Moretti direbbe «Continuiamo così, facciamoci del male!». Mi permetto di sdrammatizzare perché ho visto che anche lei lo fa, parlando del libro alle presentazioni. A cosa pensava quando immaginava il lettore intento a confrontarsi con queste immagini? Non ha avuto paura che qualcuno potesse spaventarsi e chiudere dopo poche pagine? Forse non è un libro proprio “per tutti”?

Non esistono libri per pochi. Esistono pochi che hanno voglia di leggere un certo libro. Chi sono io per decidere quale libro un lettore deve leggere? Però posso decidere cosa scrivere. Questo diritto me lo prendo tutto. Me lo sono preso. Ovvio, la domanda me la sono posta circa la fruibilità. Ho cercato di andare incontro il più possibile al mio lettore. Per questo ho rimaneggiato il testo fino all’ultimo secondo, anche prima di andare in stampa. E dire che ho cominciato a scriverlo dieci anni fa (il dieci che ritorna…).

 

Al termine del libro troviamo un suo scritto Al lettore” in cui chiede comprensione per i passi che risultano difficili, per le volte in cui è necessario tornare indietro per capire meglio, e conclude dicendo che se un romanzo non lasciasse un dubbio, un tarlo, non lo leggerebbe. Esercizi sulla  madre il tarlo lo lascia eccome perché la sua è una trama che non si completa da sola. Giuseppe fa un esercizio per scoprire la verità, ma lo fa anche il lettore che, leggendo, si siede sul gradino con lui. Lavora da sempre per far sì che i suoi libri rimangano “aperti” oppure c’è stato qualcosa che ha orientato la sua scrittura in questa direzione?

Sì, desidero che siano considerati “aperti”. Persino nel primo, Acqua Storta, che a detta dei lettori è quello più “immediato” dei tre romanzi che ho scritto, non ho lasciato dubbi sulla storia, ma l’intento delle azioni dei protagonisti è deciso dal lettore. Il mio è un tentativo di portare la suggestione che può dare il teatro e l’allusione tipica della poesia all’interno di una narrazione. Esercizi è proprio così: interseca la dimensione del monologo teatrale con quella del racconto, per dar vita a un romanzo spesso poetico.

 

Consiglierebbe ai nostri lettori un libro da leggere?

Trilogia della città di K., di Agota Kristof. Assolutamente.

 

Ringraziamo Luigi Romolo Carrino  per la sua disponibilità e invitiamo i lettori a prendere una pausa e a sedersi, in attesa, con una lettura che può sembrare una sfida, ma che ha una capacità oggi davvero rara da rintracciare, quella di arrivare e rimanere nel profondo.
«Sono passati più di trent’anni dal giorno che sei uscita, ma sono ancora qui con i pensieri del bambino che ero. Sono questo giorno ripetuto di febbraio e ho macchie nella memoria che mi scuriscono i pensieri, fanno diecimila ombre sulle pareti della stanza dove dormo e non lo so più se piangere o dirti addio, scriverti una lettera, perdonarti o dirti torna, io sempre ti aspetto».


(Luigi Romolo Carrino, Esercizi sulla madre, PerdisaPop, 2012, pp.168, euro 15)

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