“La petite” di Michèle Halberstadt

di / 2 maggio 2013

«Non so se mi facesse soffrire di più il lutto o il fatto di esserne stata lasciata all’oscuro. A scoppio ritardato il dolore soffoca ancora di più. Non tiene il ritmo, non ha misura. Vive al di fuori del ciclo del giorno e della notte, della cerchia di chi si dispera e di chi si consola. Tutto era già stato detto, urlato, pianto senza di me. Il mio dolore era fuori dal tempo, atemporale, e dunque infinito».

Si esprime con queste semplici parole profondamente drammatiche la piccola protagonista di La petite, un romanzo di Michèle Halberstadt pubblicato da L’orma editore.

Il punto di partenza della storia è un incipit folgorante che spinge il lettore a leggere tutto d’un fiato il romanzo per comprendere le motivazioni profonde di un dramma annunciato: «Ho dodici anni e questa sera sarò morta».

Al centro della storia c’è, dunque, quale unica gigantesca figura, una bambina che ha subito una perdita incolmabile: la morte del nonno.

Nelle poche ore che le restano da vivere la petite racconta l’impossibilità di affrontare la vita. L’unico desiderio che si manifesta e grida dentro di lei è la volontà di un oblio senza fine: «Mi lascino morire in pace… è tutto quello che chiedo».

Non c’è amore intorno a lei né considerazione, le tenerezze infantili non appartengono alla sua famiglia, l’unica persona in grado di ascoltarla, il suo angelo custode,è scomparsa ormai da tempo: «Diceva che ero il suo “sole”, ma fu il mio quello che portò via andandosene».

Ovunque si rivolga avverte soltanto rimproveri e sentenze. La figura della madre si staglia severamente come un giudice dall’alto di un tribunale. La maiuscola con cui compare nel testo la parola «Mamma», la sottrae a quell’aura di tenerezze e amore che evoca da sempre. Anche quando la madre è presente non concede il diritto di replica, soffoca la sensibilità della figlia, ora con uno sprezzante giudizio per la mediocrità della bambina, ora alzando muri invalicabili in nome della buona educazione: «La Mamma continua a tenermi il muso».È presente ma distante – «mi prende sottobraccio ma senza dolcezza». I pietosi tentativi di spiegazione della piccola s’infrangono contro un mutismo a oltranza.

Non bisogna dimenticare che la vicenda si svolge nella Parigi degli anni ’60. La tirannia della madre è ancor più accentuata da un padre assente e conformista: «Mio padre era un vero capofamiglia, nel senso morale del termine. Una persona scrupolosa e onesta, rigorosa e corretta. Andava a lavorare alle sette e mezza del mattino e rientrava verso le sette di sera, talmente distrutto che non mi sarebbe mai venuto in mente di tediarlo con le mie angosce».

È un libro inquietante La petite, poiché mostra l’abisso insondabile tra il mondo degli adulti e quello degli adolescenti: dietro un’apparente calma e impassibilità di «topino» obbediente (tale si considera, vedendosi in un specchio deformante, la protagonista) si cela la lucida volontà suicida di chi pensa di non avere più respiro.

Lo smarrimento e il senso di isolamento profondo si rispecchiano in una scrittura in cui si fatica a respirare, le fonti di luce sono inaccessibilmente lontane o coperte da tende che oscurano il sole. A tutto ciò si aggiunge lo scorrere del tempo a una doppia velocità: da un lato la percezione delle ore che passano lente per la giovane – infatti dopo aver ingerito i sonniferi, va a scuola da brava ragazza come ogni mattina e proprio in questa giornata, l’ultima della sua vita, racconta la sua triste storia prima di addormentarsi, forse per sempre. Dall’altro lato, intorno a lei tutti si affannano presi dal panico per cercare di salvarla con un intervento tempestivo – il medico di famiglia scandisce le ore controllando le lancette dell’orologio che girano vorticosamente: «Sento la sveglia sul comodino. La lancetta della sveglia è l’ultimo ricordo che ho».


(Michèle Halberstadt, La petite, trad. di Elena Cappellini, L’orma editore, 2013, pp. 132, euro 13,50)

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