“Piccola storia delle eresie” di Mauro Orletti

di / 17 aprile 2014

Ancora una volta, leggendo questa Piccola storia delle eresie di Mauro Orletti (Quodlibet, 2014), viene in mente la definizione di Nietszche, «umano, troppo umano»: non potrebbe esser meglio stigmatizzato, il meschino arrabattarsi di questi esseri umani entro la propria opaca sordità, rispetto alla parte più profonda, radicale (e difficilmente praticabile, certo: ma non impossibile, come più di un uomo e una donna hanno poi dimostrato, nei secoli), di ciò che il Maestro aveva detto, per le vie e nei villaggi della Galilea, e poi alla volta di Gerusalemme, dove lo attendeva l’incontro con l’estremo scacco, e la sconfitta. Ed è perfino troppo intuibile come, proprio per reazione al trauma avvilente di quella sconfitta, sia nata, in chi gli era stato vicino, l’idea della divinità di quell’uomo di cui si era vista la lunga, urlante agonia (Lammà sabachtanì…) sul legno della croce; anzi, quello in cui ciò avvenne con più convinzione, e foga espressiva, fu Paolo di Tarso, che pure mai lo aveva incontrato, in persona. 

Ma fu, come spesso capita, un rimedio peggiore del male: perché non si era riflettuto abbastanza sulle contraddizioni torturanti in cui quel granellino di senape, un uomo, cioè, che è anche, totalmente, Dio, avrebbe fruttificato: se era Dio, come avrà potuto la sua infinità limitarsi entro un corpo di uomo? E, di quel corpo, avrà poi sentito gli stimoli? Tutti, gli stimoli, anche, sì, quello giù, al fondo del ventre? Anche quello dell’intestino, o della vescica, che smaniano di liberarsi? E non è bestemmia, pensarlo? E come ipotizzarne il materiale concepimento, altro che con il grossolano metodo abituale? Come dissociarlo, poi, da quello delle sorelle e di ben quattro fratelli (Matteo, 13,55; Marco, 6,3), primo fra tutti Giacomo, cui perfino Paolo mostra reverenza, in quanto «fratello del Signore» (Galati, 1,18-19)?

Ecco allora fiorire le risposte di chi, con ribrezzo tutto orientale per la carnalità, s’incaponisce a pensarla in un altro modo (questo vuole dire, letteralmente, «eresia»: scelta diversa, s’intende, da quella degli altri) e rifiuta l’idea che Dio possa chiudersi in un corpo e, peggio, andare al gabinetto, ogni tanto.

Dunque, no: Gesù era solo un uomo; e, curiosamente, a chi con più energia, e successo (anche di potere, e di classi sociali alte capaci di andargli dietro: non foss’altro, a Milano, dove avevano proprie basiliche, o a Ravenna, dov’è il loro battistero dalle rifiniture sfarzose) sostenne questa tesi, della sola umanità di Gesù, sia pure a un livello di umane perfezioni mai raggiunto da altro nato di donna, vale a dire Ario, toccò di morire proprio in un gabinetto di decenza, mentre liberava gli intestini; oppure, che è la stessa cosa, Gesù sembrava uno come noi, con la carne e il moccio dal naso e via disgustandosi, ma era tutto, e solo, Dio.

Li vediamo, così, snocciolarsi i nomi, perfino fascinosi in sé, degli eresiarchi: sui cinquanta circa, nell’indice in fondo al volume di Orletti, i Basilidiani, gli Ofiti, gli Apollinaristi, i Nestoriani; e sono quelli che, come i docetisti, trovarono la via d’uscita dell’apparenza, la sublime messinscena di Dio che va in giro per la Palestina ma senza che quel sole spietato ne inzuppi di sudore, come a noi, le vesti.

Tuttavia, la parte indiscutibilmente più saporosa del libro di Orletti sono gli eresiarchi con la fissa del sesso: da non praticare, assolutamente (Marcioniti, Montanisti, Encratiti, Fibioniti, Pauliciani), per non duplicare – come Borges diceva degli specchi – gli esseri umani; o da praticare, volendo, solo in forma sterile: e perciò sodomiticamente (Patriziani, Paterniani). Ma molto, molto più trascinanti risultano quelli che ne predicavano l’assoluta liceità e, manco a dirlo, la promiscuità più estesa: in vera, adamitica «innocenza» (concetto sulla sincerità del quale è lecito nutrire più di qualche dubbio…): e questi furono i Nicolaiti, i Carpocraziani, i Giovinianisti, per non ricordarne che alcuni.

Si sarà capito: la dote migliore di Orletti è proprio questa capacità, svelta, divertita, spigliata, di schizzare in pochi tratti un grumo narrativo efficace e ironico insieme, pur nell’apparente neutralità asciutta dello stile: ma il sorriso, se non dell’autore, è il nostro, di noi che leggiamo. E vediamo rispecchiata, in questi nostri simili così tanto lontani, al di là della riva degli ormai due millenni, ma così uguali, ancora, a noi, l’eterna attitudine umana a dar prova del peggio di sé.

(Mauro Orletti, Piccola storia delle eresie, Quodlibet, 2014, pp. 168, euro 14)

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