“Sotto il sole giaguaro” di Italo Calvino

di / 16 febbraio 2013

È la primavera del 1983, siamo negli Stati Uniti, precisamente all’Istitute for the Humanities dell’Università di New York. Italo Calvino sta tenendo una delle sue numerose conferenze. Parla dei cinque sensi, di quanto siano importanti. Così importanti da volerci scrivere un libro sopra: «Un libro che sto scrivendo parla dei cinque sensi, per dimostrare che l’uomo contemporaneo ne ha perso l’uso. Il mio problema scrivendo questo libro è che il mio olfatto non è molto sviluppato, manco d’attenzione auditiva, non sono un buongustaio, la mia sensibilità tattile è approssimativa, e sono miope». Il libro di cui sta parlando rimarrà un’opera incompiuta, pubblicata postuma da Garzanti, nel maggio del 1986, con il titolo Sotto il sole giaguaro.

Olfatto, gusto, udito. Calvino morirà prima di penetrare analiticamente anche vista e tatto. Un vero peccato, a giudicare dai tre racconti che compongono Sotto il sole giaguaro. Attraverso un uso della scrittura unicamente sensoriale, Calvino annusa, gusta e ode il mondo circostante come se avesse, a intermittenza, solo naso, bocca e orecchie.

Così, nel primo racconto, “Il nome, il naso”, composto da tre mini-episodi intrecciati e alternati fra loro, l’olfatto diventa fondamentale per ritrovare la propria donna perduta nel branco dell’umanità. Lei che sola ha quel particolare odore, quella sublime fragranza capace di risvegliare istinti primordiali di cui abbiamo perso memoria. E diventa inutile, allora, quasi frustrante, avere la vista – il senso che forse usiamo maggiormente – ma non riuscire a “vedere”, se non con il naso.

“Sapore Sapere”, cambiato poi in “Sotto il sole giaguaro”, è il secondo racconto, dedicato interamente al senso del gusto. Un uomo e una donna, in viaggio in Messico, riscoprono gradualmente la loro intimità sessuale attraverso la cucina locale, particolarmente speziata, ricca di peperoncino e erbe aromatiche. Perché tutta questa ricchezza di sapori? La risposta che Calvino sa dare a questo interrogativo, che prende forma pasto dopo pasto, sarà tanto sconvolgente quanto antropologicamente affascinante.

Il terzo racconto, infine, intitolato “Un re in ascolto”, è sviluppato in una forma quasi teatrale, una sorta di monologo interiore delirante, a tratti ossessivo. Un re, appena salito al potere, si trova a dover stare immobile e in allerta, seduto sul proprio trono: non gli si addice infatti muoversi, tanto per il decoro personale, quanto per il pericolo di essere spodestato. Altro non può fare, allora, che rimanere in ascolto, giorno e notte. Il palazzo prima, la città poi, diventano, così, un’amplificazione del suo timpano. Tutto diventa suono, rumore, sussurro o grida di congiura al punto che non si capisce più quale sia la realtà esterna o quella interna, propria del re ormai ossessionato.

L’aspetto più rilevante di Sotto il sole giaguaro sta, dunque, nella bravura di Calvino di riuscire a “ragionare”, rispettivamente, con ognuno dei sensi presi in considerazione, lasciando il lettore in uno stato quasi confusionale, destabilizzandolo, ma non senza avergli prima donato, come appiglio, uno spunto di riflessione di rara genialità.


(Italo Calvino, Sotto il sole giaguaro, Garzanti)

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