“Space is the place. La vita e la musica di Sun Ra” di John F. Szwed

di / 19 novembre 2013

La prima cosa da dire – davvero per niente scontata – è che il libro di John F. Szwed, Space is the place. La vita e la musica di Sun Ra (minimum fax, 2013), è ben scritto: la storia dell’eccentrico musicista dell’Alabama è inserita in un tessuto storico e ambientale ricco e significativo. Soprattutto nella prima parte sono ben raccontati l’America dell’apartheid razziale, il clima sociale degli anni Venti, le vicende delle big band di neri che cercano un posto nel mondo e raramente vi riescono fuori dei confini musicali.

Sun Ra (1914-1993) è un nome d’arte, ovvio: niente di più comune di un afroamericano che decide di sbarazzarsi del nome d’origine – si tratta per lo più di inventarsene un’altra, di provenienza. E il nostro sull’argomento non è secondo a nessuno. Si attribuisce derivazioni astrali dichiarandosi nativo di Saturno (e a suo dire senza parenti, ma questo dipendeva dalle giornate e dalla simpatia degli intervistatori).

Artista stravagante par excellence, poteva cambiarsi d’abito una mezza dozzina di volte durante un concerto – lo si vide molti anni fa in un concerto romano più vezzoso di Ornella Vanoni. Non per questo si può gettare discredito su un’arte musicale che meriterebbe invece di essere conosciuta senza necessariamente prenderne sul serio né l’edificio spettacolare (per quanto spesso così imponente da non poterne sottovalutare la pregnanza) né, ancor meno, le fantasie parafilosofiche (gli improbabili capricci sincretistici fra ufologia, cultura afro, storia egizia, mistica rosacrociana e altro ancora). Uomo di voraci e tangenziali letture, interprete avventuroso e improbabile filologo di testi sacri, curioso chiosatore di teorie oscillanti fra l’inverosimile, l’assurdo e il ridicolo, Sun Ra – come mostra senza nessuna acritica esaltazione il libro di Szwed – è stato però un musicista vero e non privo di genialità. Ha attraversato oltre mezzo secolo di modelli e stili musicali senza identificarsi con niente in particolare. Da giovane – pianista autodidatta e presto arrangiatore inquieto e mai scontato – subì l’influenza e il fascino di Duke Ellington e Fletcher Henderson, lambì il bebop con una sensibilità tutta culta non ignara della tradizione classico-romantica, intuì le possibilità delle sperimentazioni elettriche e si avvicinò via via al freejazz e alla musica modale. Fondò l’Arkestra, un gruppo che arrivò a contare anche una cinquantinadi elementi, pensato come una comunità totalizzante, una sorta di famiglia che fece dannare non pochi fra i musicisti che vi presero parte, sconcertati da quell’eccentrico omone capace già da giovane di lasciare di sasso anche i suoi amici neri, che mai avevano visto un pacifista così riluttante all’idea di andare in guerra da preferire la prigione.

In effetti, inutile tentare di classificare Il vegetariano, astemio, insonne e misogino Sun Ra che mentre negli anni Sessanta seduceva colonie di freak per le sue stranezze, trovava profondamente irrispettosa la condanna di Nixon seguita al Watergate, tanto che avrebbe successivamente votato Bush e considerato una sciagura l’eliminazione della Bibbia dalle scuole americane. Be’, scandalizzatevi quanto volete, Space is the place suona che è un piacere.

(John F. Szwed, Space is the place. La vita e la musica di Sun Ra, trad. di Michele Piumini, minimum fax, 2013, pp. 544, euro 18)

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