“Stasera Anna dorme presto”: a tu per tu con Simona Lo Iacono

di / 13 ottobre 2011

Intervistiamo Simona Lo Iacono, da sempre in bilico tra il “diritto” e la “letteratura”. L’autrice siciliana, considerata una delle più promettenti scrittrici italiane (ha vinto il premio Vittorini nel 2009), affronta nel suo nuovo libro, Stasera Anna dorme presto (Cavallo di Ferro, 2011), un gioco di incastri, amori e tradimenti con quattro voci che si rincorrono per cercare almeno un frammento di verità.

È da poco uscito nelle librerie Stasera Anna dome presto con una delle case editrici più interessanti del panorama indipendente italiano. È felice di questo passo? Merito del Premio Vittorini?

Sono felicissima del mio “incontro” con Cavallo di ferro. Non solo per l’altissima professionalità dei suoi componenti, ma per l’attenzione e il garbo – direi quasi materno – nel seguire l’autore. Non credo che ciò derivi solo da un’impostazione “commerciale”, ma del cuore. Dal fatto cioè che la titolare della Cavallo di Ferro, Romana Petri, non è semplicemente un’editrice, ma un’ottima scrittrice, e dunque una appassionata ricercatrice della parola, del viaggio letterario, del mistero del romanzo. La cura che riserva ai suoi scrittori è quella, quindi, di chi è abituato ad amare un figlio di carta. Quanto al Vittorini… non saprei dire se è per suo merito che sono approdata a Cavallo di ferro! Di certo un premio può sostenere uno scrittore, soprattutto se è esordiente.

Nel libro racconta l’amore ma soprattutto racconta gli intrecci tra questi personaggi (Anna, Elisa, Carlo, Giovanni) in un gioco di specchi in cui rapporti interni ed esterni si intrecciano continuamente. C’è amore ma ci sono soprattutto tradimenti. Sono inevitabili?

Il tradimento nasce con l’uomo, è forse il campo privilegiato del suo rapporto con la realtà esterna. E ciò non solo in relazione all’altro, ma innanzi tutto in rapporto a se stesso. C’è infatti sempre un forte scarto tra ciò che si desidera e ciò che si conquista, quasi un dolore di perdita. In questo dolore, che è una ferita se non elaborato con maturità, tradiamo soprattutto noi stessi, la nostra relazione con la pienezza dell’essere. Nel romanzo, infatti, chi tradisce l’altro, in realtà, ha per prima cosa sviato il proprio cammino, ha cioè perduto la strada verso la conquista di sé. Il tradimento verso l’altro, quindi, viene dopo questa lacerante perdita di se stessi e del proprio destino.

Trovare la “ragione di tutto”, scavare nel profondo della memoria, crea un turbine al tempo stesso pericoloso ed affascinante. Se tutti siamo sia vittime che carnefici è davvero impossibile lasciarsi andare totalmente? Essere fedeli a se stessi per rapportarsi nel modo giusto con gli altri?

Non è impossibile. Nel romanzo questa impossibilità deriva dalla mancanza di vera comunicazione tra i personaggi. Nessuno dei quattro, in verità, si apre perché nessuno ama veramente. L’amore, infatti, non giudica, è disarmato, umilissimo. Invece, i quattro personaggi allestiscono “processi” gli uni verso gli altri, tirano le somme, chiamano a raccolta le ombre per configurare nella propria anima un immenso e immateriale tribunale, dove ciascuno viene soppesato, valutato, fatto oggetto di sentenza. È questa la mia poetica del “processo nascosto”, ossia di un processo interiore che noi tutti, inconsapevolmente, creiamo nel buio della coscienza. Un processo pericoloso, però, perché l’avversario non può difendersi. Se rinunciassimo a questo processo, se amassimo senza giudizio, sapremmo semplicemente fare “esperienza” dell’altro. E saremmo stupiti – non spaventati – dalla sua diversità.

Le quattro voci che si ripetono e si sovrappongono, come in un diario aperto, non sembrano in realtà mai prevalere sull’altra. Quello che appare è non ci sia una sua preferenza tra i quattro personaggi ma non credo sia così. Che ne pensa?

Non c’è alcuna preferenza tra i quattro personaggi perché il libro è un omaggio alla mancanza di giudizio morale verso ciascuno di essi. E non perché le azioni non meritino, in sé, una pronuncia di disvalore. Ma proprio perché l’uomo può essere solo amato dall’altro uomo ( e dunque dallo scrittore e dal lettore). I giudizi sono altro, e spettano ai tribunali. Ma anche in tribunale, la sentenza è sui “fatti”, sulle azioni, non sulle persone. Le persone sono un universo che può emendarsi, può salvarsi ad ogni passo, può riscattare con un finale atto di perdono anche una caduta molto grave e dolorosa.

In alcuni punti di vista e in alcune immagini si sente molto la sua “sicialinità” e anche Anna viene da Siracusa. Distaccarsi dalle proprie origini porta solo a delle illusioni? La “vita reale” è uguale ovunque?

No. Il distacco dalle origini può portare anche maturità, crescita, evoluzione. Proprio perché l’origine si ricrea dopo la perdita. Una separazione  necessaria come l’allontanamento del neonato dalla madre, perché respiri di vita propria. Quando ciò non accade è – dunque – perché qualcosa è rimasto incompiuto. La vita “reale” infatti è uguale ovunque solo se è tale anche la nostra interiorità, solo se abitiamo consapevolmente i nostri spazi interni, e conserviamo un equilibrio che la realtà esteriore non fa oscillare. Dunque, è sempre e solo questione di rapportarsi correttamente con la propria spiritualità, con quell’esistenza segreta, sepolta, che chiamiamo anima.

Il suo stile sembra molto maturato dall’ultimo libro eppure non è passato moltissimo tempo da un titolo all’altro. Questo testo è stato scritto di getto o ce l’aveva in mente da anni?

È un libro che è nato di getto subito dopo la stesura del primo romanzo ed è affiorato come un puro atto di necessità. Scrivevo sempre, scrivevo ovunque, scrivevo anche quando non scrivevo, e afferravo ogni ombra, ogni presagio, ogni rumore e ogni assenza di rumore come un segnale da decifrare.

Cosa si aspetta da questo libro?

Mi aspetto quello che mi piacerebbe avvenisse per ogni libro (e che io chiedo a un libro quando leggo): che stimoli un viaggio, che ci cambi, che ci rinnovi o semplicemente ci ferisca. Che sia quindi come una traccia che resta in noi, seminando emozioni e domande. Ecco… se un mio libro riuscisse a fare questo, io mi riterrei davvero felice di averlo scritto.

Ed ora? Passaggi successivi? Sta lavorando ad altro?

Ho terminato un altro romanzo in cui, come sempre, diritto e letteratura si sovrappongono. Una storia ambientata nella Sicilia degli anni cinquanta e che ha come protagonista un bambino il cui destino si intreccia misteriosamente con quello del processo di Norimberga. La “grande storia” e la “piccola storia”, dunque, ma anche le infinite commozioni della legge e del cuore, della parola e della norma, o gli sviamenti dell’una dall’altra. I miei due mondi, insomma: quello della scrittura e quello della magistratura.

Le andrebbe di consigliare tre libri di autori contemporanei ai nostri lettori?

Ma certo, con vera gioia!
1) Milan Kundera, L’identità, Adelphi, un libro scritto con una naturalezza e un’eleganza scivolosa, lenta, perfetta. Una riflessione dolorosa e stupefatta sull’identità di chi ci sta accanto, e di riflesso, sulla nostra.
2) Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, sempre Adelphi, un testo appassionato sulla libertà e sulla storia, sulla capacità di resurrezione della scrittura e sulla forza delle parole. Persecuzione e amore, in un intreccio potente e commosso.
3) Massimo Maugeri, Viaggio all’alba del millennio, Perdisa pop, una raccolta di racconti assolutamente stupefacente per varietà e ritmo. Scritta dal mio caro amico Massimo, mi ha lasciata senza parole per la assoluta capacità del linguaggio di interpretare e differenziare. Un bellissimo esempio di altezza espressiva.

Grazie mille. Buona fortuna per tutto.

Sono io a ringraziare lei per l’attenzione affettuosa che mi ha dedicato!

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