“Un uomo a pezzi” di Michael Thomas

di / 5 luglio 2011

«Un piano. È tutto ciò che Claire mi ha chiesto di buttare giù. Un piano. Avrei dovuto essere sincero. Avrei dovuto chiederle cosa intendeva: un suicidio o un volo aereo?».

Claire è la moglie bianca, una wasp della Boston “bene”, del protagonista e voce narrante di Un uomo a pezzi (Nutrimenti,), romanzo d’esordio dello scrittore afroamericano Michael Thomas, vincitore  del premio letterario più ricco del mondo, l’Impac Dublin Literary Award 2009.

Un uomo di trentacinque anni, connotato e condannato dalla razza e dal colore della pelle in un’America multietnica in cui il problema del razzismo, nonostante Martin Luther King, è ancora cogente seppur ipocritamente rimosso dietro atteggiamenti di affettata tolleranza e accettazione, si trova ad affrontare la sua odissea urbana che è anche una discesa nella sua coscienza scissa e lacerata. Ismaele, così si fa chiamare a un certo punto, come il personaggio biblico nato da una schiava, ma anche come il famoso Ismaele della letteratura, quello di Moby Dick, l’unico superstite nell’affondamento della baleniera Pequod, è anche lui un sopravvissuto della sua generazione, quella dell’integrazione: «sbarcati da sud, da oltre oceano, siamo stati i primi a sbirciare fuori dai ghetti». È l’essenza della negazione del sogno americano, l’american dream. Vorrebbe fare lo scrittore o il musicista, ma ha grandi mani callose da muratore.

Ha solo quattro giorni di tempo per trovare più di 12mila dollari per pagare l’affitto di un nuovo appartamento e la retta scolastica dei suoi tre figli, C (Cecil), il maggiore e il più esposto alle asperità della vita perché scuro di pelle come il padre, X (Michael), identico al babbo solo che bianco, e la piccola Edith. Siamo sul finire di un agosto che sa già d’autunno, fresco e piovoso, sullo sfondo di una New York che non ha niente di attraente. È qui infatti che il protagonista si è trasferito, ospite nella camera da letto del figlio di un suo amico, il ricco avvocato di origini italiane Marco, insieme all’inseparabile pesciolino Thomas Fragola. La moglie e figli sono invece andati a stare temporaneamente con l’odiata suocera. Lo vediamo arrangiarsi di giorno con lavori da carpentiere malpagati e correre di notte nel «regno delle ombre di Brooklyn» fra i dolorosi ricordi  dell’infanzia (violenze, soprusi e sbronze) e quelli teneri da adulto (la nascita dei figli).

Michael Thomas, attraverso una scrittura suggestiva, colta e poetica, ha la capacità di scolpire l’alternarsi degli stati d’animo del suo alter ego in parte autobiografico: rabbia, frustrazione, amarezza, sarcasmo, scoramento vittimistico e rigurgiti di orgoglio. Anche gli scorci descrittivi sono altrettanti paesaggi intimi. Lo sfogo monologante non riesce certo a lenire la ferita di fallimenti mai superati che fatalmente riaffiorano nei dialoghi con il miglior amico Gavin o con il professor Pincus che aveva riposto tante speranze in lui e contribuiscono a delinearne il carattere. Ismaele o Sonny o Teddy o qualunque sia il suo vero nome era pieno di luce e promesse (così pensava la madre Lila quando era piccolo), ma ha l’impressione di aver subito un danno irreparabile: «Sono un povero ragazzo nero di intelligenza superiore alla media e senza deformità fisiche. Sono un povero ragazzo indiano di intelligenza superiore alla media e senza deformità fisiche. Sono un povero ragazzo irlandese di intelligenza superiore alla media e senza deformità fisiche. Sono un povero ragazzo nero di intelligenza superiore alla media e senza deformità fisiche, quindi sono tenuto a guidare la mia gente». Questa maggiore consapevolezza lo fa vivere continuamente in bilico, sul filo del rasoio: la tentazione alla “tetta cosmica” della birra (è un ex precoce alcolista) o all’infedeltà nei confronti di una moglie che ama profondamente ma che sa che non potrà mai capirlo fino in fondo perché diversa, perché bianca, perché privilegiata. Così la sua vita gli sembra un “esperimento sociale” e lo ripete come un’ossessione fino alla nausea. Il primo ad emarginarsi a ben vedere sembra lui stesso incastrandosi in una trappola mentale, angusta come il piccolo acquario di Thomas Fragola, con la sola differenza che ogni resistenza e tentativo di fuga del pesciolino è inutile perché condannato dal suo destino a vivere in una boccia di vetro, mentre il suo, volendo, può decidere di cambiarlo scegliendo. Ma deve fare in fretta per evitare che qualsiasi suo gesto resti per sempre «il gesto vuoto di un uomo disperato che sa di esserlo ma non si accorge di cadere a pezzi».

È un libro dalla prosa compatta e venata da una buona dose di lirismo e malinconia, che fa riflettere e perciò merita di essere letto, dal finale aperto che lascia una speranza per il futuro. Un futuro che ha il volto della piccola Edith, «la faccia congiante dell’amore».

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