“Una notte ho sognato che parlavi” di Gianluca Nicoletti

di / 12 aprile 2013

In Una notte ho sognato che parlavi (Mondadori, 2013) il giornalista, scrittore e speaker radiofonico Gianluca Nicoletti racconta il suo rapporto con il figlio autistico. Ci sono delle cose che sappiamo: sappiamo del diritto al silenzio e alla comunicazione, dell’autonomia, del rifugio delle nostre case, della necessità che i figli sopravvivano ai genitori, proseguendoli; sappiamo che noi, ai nostri figli, insegneremo delle cose e ce ne faremo insegnare altre e che il nostro autunno sarà compensato dalla loro primavera. Guai a sovvertire alcuna di queste regole naturali, ne deriverebbe uno squilibrio devastante.

Questo libro racconta la vita di un quattordicenne autistico attraverso le parole, l’esasperazione, lo sfinimento, l’amore e la rabbia di un padre. L’ultimo libro di Nicoletti ha il grande pregio di rinunciare sin dalle prime pagine a qualsiasi forma di buonismo, fede religiosa o spirito sacrificale: è crudo, fotografico. Ci proietta in un interno che non è bello da vedere, fatto di regole sovvertite, nel quale alla serenità di una carezza ricevuta senza chiedere altro in cambio si alternano problemi scomodi segnati dalla consapevolezza della non reversibilità.

In questo interno c’è il punto di vista di un padre, condannato alla non quiete, alla non serenità, al non tempo, fino all’annichilimento del non pensiero; un padre che ha un figlio la cui vita interiore può solamente immaginare, quasi alla cieca, la cui sopravvivenza costituisce non solo una speranza, come da regola, ma anche un dramma pratico. Poi c’è il punto di vista del ragazzino autistico, che in un’epoca consumata dalla comunicazione non sa, non può e non vuole comunicare; si muove nel suo universo che non coincide con il resto del mondo, muto, esprimendo le sue gioie con un alfabeto incodificabile e i suoi disagi con una violenza ingestibile.

Dopo, l’inquadratura si allarga: vediamo la protezione e insieme la gabbia della famiglia al completo, le urla nel cuore della notte, la paura, il valore delle piccole felicità, l’affetto e l’asfissia, la dipendenza bilaterale, l’impatto di una situazione definitiva su una relazione coniugale, un assetto sociale, uno spazio forzato. Nicoletti, con uno stile narrativo curato ed efficace, fa emergere senza fronzoli tutto quanto sia necessario mostrare di un universo inaccessibile che dovrebbe, e non può, trovare spazio al di fuori delle sue carceri protettive.

L’inadeguatezza della società, delle professionalità e delle strutture viene raccontata utilizzando una sola figura, questa sorta di adolescente gigante buono, come una figura assurda che si trova e si troverà sempre nel posto sbagliato; un adolescente che sarà un uomo con esigenze da uomo anche se continuerà ad amare Pimpa, e avrà voglia di essere autonomo e di fare l’amore e si ritroverà, un giorno, a fare i conti con l’inverno di chi ora lo sta proteggendo.

Il testo del giornalista non è un libro sull’autismo, ma un libro sull’autistico, scomodamente sincero, accessibile anche a chi non abbia mai avuto a che fare da vicino con questa patologia. Un libro che contiene in poche pagine, insieme, l’attaccamento e il soffocamento, il piacere dell’amore e la disperazione dell’annullamento e che racconta tutto con lucidità e durezza, offrendo al lettore una panoramica ingenerosa e necessaria della quotidianità permanente di un disabile e di chi fa parte della sua vita.


(Gianluca Nicoletti, Una notte ho sognato che parlavi, Mondadori, 2013, pp. 192, euro 16,50)

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