“Voglio scrivere per Vanity Fair”. Intervista a Emma T.

di / 12 aprile 2011

Erica Vagliengo, in arte EmmaT. 100% piemontese, anni quanti bastano. Autrice di “Voglio scrivere per Vanity Fair”, un romanzo che parla di sogni, speranze e coraggio. Una storia divertente priva di eroine con tacco 12, fotomodelli o conti correnti con infiniti zeri. Emma T, la protagonista è una giovane donna che combatte ogni giorno la quotidiana lotta per la sopravvivenza nel precario mondo del lavoro. La sua forza? Indubbiamente lo stile e la grande audacia con cui affronta le sue sfide. Il modo migliore per parlare di un romanzo tanto personale è quello di farselo raccontare dall’autrice stessa. Ecco a voi, Erica Vagliengo.

Una domanda probabilmente scontata, ma è il primo interrogativo che un libro tanto “personale” come il tuo porta con sé: quando c’è di Erica in Emma? Quanto la tua storia personale ha contribuito a creare la storia di Emma?

Non svelerò mai quanto c’è di me e quanto di romanzato, però posso dirti che ho tratto spunto dalle mie vicende personali e da quelle delle mie amiche, per costruire sia i personaggi che le situazioni.

La co-protagonista del tuo libro è sicuramente la vivace Torino. La vita di Emma è ambientata nel capoluogo piemontese ed è ricca di riferimenti a luoghi, eventi, abitudini tipiche dello stile di vita sabaudo. Che rapporto hai con la città? Perché proprio Torino?

Per la verità la vita di Emma si svolge in quella che lei chiama “la ridente cittadina”, senza mai menzionarla con il suo nome reale. E’ una cittadina come tante, in provincia di Torino. Però è vero che la protagonista ama follemente la capitale sabauda e, appena può, va in città per viverla come piace a lei: passeggiando tra le viuzze del Quadrilatero alla ricerca dei nuovi creativi, tra le gallerie d’arte contemporanea, nei bar storici per un caffè macchiato caldo, in via Roma per fare shopping low cost nelle grandi catene di abbigliamento. In questo io ed Emma siamo molto simili: io adoro Torino, i localini da scoprire per caso come Liù Liù in via dei Mercanti, o anche Santa Polenta, la tisaneria della Consolata, il Bicerin, gli altri caffè storici come Baratti&Milano e Platti, il Balun per il vintage, Buster se voglio assaporare un po’ d’America, piazza Vittorio e i bar dove far l’aperitivo (come la Drogheria), la caffetteria di Palazzo Madama e quella di Palazzo Reale (un gioiellino), la libreria Luxemburg…

Non pensi che la forte marca territoriale del tuo racconto possa in qualche modo frenare la tiratura nazionale del libro?

No, non lo penso, perché Torino è diventata, improvvisamente, dopo i Giochi Olimpici del 2006, la città cool da scoprire o da ri-scoprire sia dai suoi abitanti che dal resto d’Italia.

L’aspetto più divertente e originale del libro è senza dubbio lo sguardo ottimistico e coraggioso che dai del precariato giovanile. Emma è una donna piena di inventiva, che non si blocca davanti all’instabilità lavorativa ed economica e riesce comunque a portare avanti i suoi obbiettivi e le sue passioni: si sposa, non rinuncia a viaggi e aperitivi con gli amici, e riesce comunque a soddisfare la sua onerosa smania per il vintage. Nel libro si evincono parecchie idee e soluzioni su come affrontare la piaga del precariato, dai secondi lavori ai “baratti” di servizi. Il precariato è forse uno stimolo a “reinventarsi” e una cura per la pigrizia? Esiste forse una ricetta per sopravvivere al precariato?

Sì, penso proprio che uno dei (pochi) aspetti positivi del precariato sia quello di dare uno stimolo a reinventarsi, strizzando l’occhio all’arte dell’arrangiarsi. Sarebbe bello avere in mano la ricetta vincente…penso piuttosto ad una cura per “i malati di precariato”, nel senso dei moltissimi giovani, costretti a subire una situazione poco stabile che influenza tutti gli aspetti della loro vita. Ma, detto questo, occorre dotarsi di un sano ottimismo di fondo, abbandonare il solito vizio italiano del lamentarsi, rimboccarsi le maniche e ingegnarsi, all’insegna del mio claim “precaria sì, ma con stile”.

Trattando di precariato e conoscendo la difficile macchina della comunicazione editoriale, hai deciso di utilizzare una campagna promozionale del tutto originale per far conoscere il tuo libro e il personaggio di Emma. Hai creato un’operazione di self-marketing che denota una profonda conoscenza dei social network e dei nuovi mezzi di comunicazione. Ci racconti in breve il tuo progetto? E questa operazione ha portato ad un buon risultato solo a livello locale?

Certo! Tutto è partito nel 2007, dal “progetto emmat”, nato ancor prima del romanzo (poi pubblicato con la Memori di Roma a fine novembre 2009). Nell’arco di due anni e mezzo mi sono messa: su myspace,  pubblicando i primi due capitoli e tutte le foto del merchandising (spille, sticker, specchietti da borsetta e portachiavi), che ho ideato e realizzato concretamente grazie a Marta Grossi, una mia cara amica grafica, conosciuta proprio su myspace. Poi ho aperto il blog su style.it (il sito di Vogue, Vanity e Glamour), e a seguire facebook. Ho iniziato, così, a far vivere il mondo della mia protagonista, postando le foto dei suoi accessori, raccontando le sue avventure su internet, e, in contemporanea, pubblicando le foto degli stickers appiccicati in giro per il mondo e le foto delle mostre ed eventi alle quali avevo partecipato. Dopo la pubblicazione, mi sono organizzata diverse presentazioni (Pinerolo, Torino, Milano, Roma, New York), ed ho cercato, come faccio ancora oggi, di partecipare ad eventi in linea con il mio progetto (ad esempio una serata di gala, organizzata da Lookout group, dove è arrivata come ospite la Littizzetto con la quale ho parlato per “ben” un minuto, per chiederle se avesse ricevuto il mio libro). Ho avuto anche la fortuna di essere invitata al Festival Internazionale del giornalismo di Perugia, e all’incontro nazionale dei giovani imprenditori (CNA NEXT). Oltre a ciò ho sempre lavorato come ufficio stampa di me stessa; questo mi ha permesso di procurarmi diverse interviste su giornali on line o cartacei, in radio o in tele e di conoscere giornalisti/giornaliste note. Come vedi, il mio motto potrebbe essere “Aiutati e-spera-che il Ciel ti aiuti”, oltre a “Se vuoi qualcosa,vattela a prendere”.  Vorrei sottolineare, però,  che è vero,  io sono l’ideatrice del progetto ed ho scritto il romanzo, ma ho avuto la chance di incontrare lungo il mio percorso le persone giuste, che hanno creduto in me e mi hanno aiutato, con le loro idee, professionalità ed entusiasmo. E’ anche grazie a ciò che ho potuto organizzare il fashion party per festeggiare il primo anno di vita del libro, aiutata da Pina Sansone, personal shopper torinese, senza la quale quest’evento non sarebbe potuto venire così bello.

Quale maniera migliore per concludere questa intervista se non chiedendoti quali saranno i progetti futuri di Emma, e magari anche quelli di Erica.

I progetti futuri di Emma? Per conoscerli dovrete aspettare di leggere il seguito, ovviamente! I miei invece sono: nell’immediato, pubblicizzare la pubblicazione del romanzo nella versione american-english su AMAZON.COM e ultimare (entro l’estate) il secondo libro delle avventure di Madamin Travet. Sul fronte eventi: mi troverete al Salone del Libro di Torino, domenica 15 maggio alle 19.00, come ospite di un dibattito sul precariato ed i giovani (modera Alessandra Comazzi de La Stampa); poi il 26 al Rotary di Pinerolo; il 10 giugno parteciperò al Fashion Camp a Milano, e nel mese di settembre sarò al Festival della letteratura di Mantova.

Durante la lettura, la mia deformazione professionale mi portava continuamente a pensare alla trasposizione filmica o fumettistica delle vicende di Emma. Hai mai pensato alla trascrizione cinematografica del libro? Chi vedresti bene nel ruolo di Emma?

Sì, ammetto che ci ho già pensato-ride- ho persino dato il mio libro a Gabriele Muccino, incontrato casualmente a Torino, l’anno scorso. Nel ruolo di Emma mi piacerebbe un’attrice torinese… potrebbe essere Valeria Solarino, perché no? Le invierò il romanzo.

http://www.emmatravet.it

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