“The bridge”: a tu per tu con gli almanoir

di / 8 marzo 2013

Abbiamo intervistato gli almanoir, uno dei gruppi che suoneranno alla serata di musica dal vivo organizzata da Flanerí martedì 12 marzo presso Contestaccio. Ecco che cosa ci hanno detto.


Raccontateci brevemente la nascita della band, che ha visto confluire al suo interno varie esperienze.

Ci siamo conosciuti tutti presso la scuola di musica dove studiavamo. Suonando insieme all’interno dei laboratori abbiamo iniziato ad avvertire un certo feeling. Io (Maristella) mi dilettavo a scrivere e avevo un po’ di canzoni nel cassetto, così un bel giorno ho proposto loro di arrangiarle e da lì è nato tutto.
 

Da quali suggestioni è nato il nome del gruppo?

Ci siamo arrovellati il cervello per mesi, quasi tutti i nomi che ci piacevano già esistevano e noi volevamo ovviamente essere gli unici al mondo. Alma è una parola dai diversi significati: in spagnolo significa anima, ma deriva dal latino almus che significa “che nutre”. Ci piaceva perché racchiudeva in sé il senso che noi diamo alla musica. Noir, è il nero, la somma di tutti i colori, la somma di tutti i nostri colori.
 

La scelta dell’inglese: spontanea o un mezzo per esaltare il cantato e la melodia?

Un po’ tutte e due. In realtà inizialmente i brani erano anche in italiano, ma poi, quasi senza accorgercene, l’inglese ha preso il sopravvento. Ascoltando e ispirandoci per gran parte alla musica inglese e americana il passaggio è avvenuto in maniera naturale. L’inglese poi ha una caratteristica che amiamo molto, quella di lasciare molto spazio all’interpretazione, in quanto una stessa parola può avere significati anche molto diversi tra loro.
 

La scena musicale romana è un crogiolo costante e ampio di nuove band: come vi ponete di fronte a questo contesto?

Cerchiamo il più possibile di stabilire dei contatti con i gruppi che ci piacciono e che ci corrispondono di più, crediamo che creare una “rete” in questo senso sia il primo passo per promuovere e far ascoltare la musica originale e indipendente. Ma siamo anche competitivi, nel senso “sano” del termine. Il confronto ti spinge a migliorarti sempre per cercare di emergere, e per certi versi è il vero e proprio motore: vedere gli altri, ascoltarli, può essere uno specchio nel quale guardarsi e scorgere pregi e difetti anche di noi stessi.
 

Parliamo del vostro ep, The Bridge: quali esigenze e intenti sentite di aver sfogato al suo interno?

L’intento principale di questo primo EP era quello di raccontare i nostri primi due anni e mezzo di musica insieme: i brani scritti in questo periodo sono stati molti, ma abbiamo scelto questi cinque perché ben rappresentativi di ogni singola fase del nostro percorso. L’esigenza che avevamo era di mettere una sorta di punto, inteso non solo come fine di un periodo, ma anche e soprattutto come un nuovo inizio. In poche parole, attraversare il ponte.
 

Ho trovato molto riuscita la vostra sintesi tra momenti melodici e altri più rock: quali sono i vostri modelli musicali che credete di aver degnamente onorato in The Bridge?

Ci ispiriamo molto alla musica nord europea: Pink Floyd (che abbiamo voluto omaggiare anche nell’EP), Radiohead, Bjork, Sigur Ros, Porcupine Tree, ma anche Tori Amos, per quel che riguarda il versante americano. Se li abbiamo degnamente onorati non saprei, ma sicuramente c’è un po’ di loro in ognuno di noi.
 

C’è un tema ricorrente, o comunque un tratto marcante, che caratterizza i vostri brani e la vostra musica?

Un tema ricorrente può essere quello del cambiamento, inteso come continua tensione e passaggio tra stati d’animo positivi e negativi: c’è gioia solo se c’è stato dolore, c’è il bianco ma solo in contrapposizione con il nero. Il tratto marcante invece è l’elemento visivo: ci sono molte immagini nei nostri testi, molte metafore , e questo credo che emerga anche dalla musica stessa, dal nostro suono.
 

Si parla sempre della morte del cd e dell’egemonia di internet: qual è la posizione di una band agli esordi su questa situazione?

Internet è una grande risorsa, ti permette di essere ascoltato in ogni parte del mondo e questo ti apre la porta a infinite possibilità. Crediamo che vada sfruttato al massimo, i nostri brani sono già in streaming online e tra breve sarà possibile anche acquistarli in digitale. Il cd fisico però ha sempre il suo fascino, crediamo sia importante averlo e puntiamo molto alla vendita durante i concerti, più che a una vera e propria distribuzione.
 

Dopo The Bridge opterete per un vero e proprio album o pensate di dedicarvi all’attività live?

Per ora ci vogliamo divertire, suonare il più possibile, farci conoscere. Abbiamo altri brani in cantiere e l’attività di scrittura e composizione non si è mai fermata e mai si fermerà. L’album vero e proprio è sicuramente nei nostri progetti a lungo termine.
 

Ipotizziamo che questo disco sia una colonna sonora: di quale film vi piacerebbe che lo fosse?

Anche se ha già una colonna sonora pressoché perfetta, “Into the wild”.
 

Ultima domanda. Avete l’opportunità di scegliere un artista a cui aprire il live: quale sarebbe il vostro sogno?

Radiohead, senza ombra di dubbio.

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