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Conversazione con Gianluca Mercadante

di Diego Rossi / 18 maggio

Gianluca Mercadante è nato nel 1976 a Vercelli, dove vive e lavora. Dopo l’esordio come scrittore con racconti nelle antologie Città violenta e La donna nel ritratto (Addictions), ha pubblicato Il banco dei somari (NoReply) e McLove Menù (Stampa Alternativa), vincitore del premio letterario “Parole di sale” nel 2001. Scrive per “La Stampa”, “Nella Nebbia”, “Orizzonti”, “Pulp” e “Kurtz”. Da una sua sceneggiatura, il regista Davide Celoria ha girato il cortometraggio “Il gallo del Sant’Andrea”. (Premio Cinema in Diretta 2007). Con Las Vegas ha pubblicato Polaroid (2008) e Cherosene (2010).

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Gianluca Mercadante scrive per…

Scrive perché non ha mai potuto farne a meno. Per malattia, prima che per passione. I miei genitori sono entrambi lavoratori onesti e persone straordinarie, cui devo tutto, ma certamente non sono lettori. Eppure, io sono cresciuto in mezzo ai libri. Lì e soltanto lì ho trovato le risposte che cercavo e ho così potuto fottere la solitudine di stare al mondo, come diceva Tondelli. Ma non starò qui a raccontare che sono stati i libri a scegliere me, o altre panzane affini. È andata così, punto.

“Periglioso”, “mendace”, “apodittico”… Vuoi parlarci della tua iniziativa “AAA – Cercasi parole desuete”, dell’idea dello scorso anno di girare alla fiera del libro di Torino in un carrello della spesa, regalando ai visitatori dei biglietti contenenti le parole che stiamo perdendo?

È opinione condivisa da qualsiasi esperto in materia che una lingua sia la cristallizzazione di una visione di mondo. È fatale presumere che meno parole si padroneggino, nel parlato comune, più il campo di questa visione si restringa. Distribuire parole desuete dentro un carrello della spesa rispecchia una certa ironia: il fatto di utilizzare a scopo divulgativo un simbolo del nostro consumismo, a sua volta legato alla pubblicità, ai modelli televisivi e all’appiattimento linguistico e di concetto che proprio nella televisione trovano un efficace mezzo di persuasione collettiva (di lobotomia collettiva), mi sembrava qualcosa d’interessante da proporre. Per motivi di sicurezza, al Salone dello scorso anno è stato impossibile realizzare il progetto. Tuttavia oggi il gruppo editoriale Las Vegas, con cui ho pubblicato i miei ultimi due titoli, ha adottato la mia idea e la porterà avanti, anche (e, direi, soprattutto) priva della mia presenza fisica. Questa la considero una grande conquista: le parole sono più importanti di me. Le parole sono per tutti.

Cosa pensi delle librerie di oggi? Quali le cose che ami di più e quali quelle che ti lasciano perplesso?

 

Non c’è niente in una libreria che mi lasci più perplesso delle parvenze che la categoria ha finito con l’acquisire nell’immaginario dei suoi clienti: si pensa a una libreria come a un luogo romantico, a un porto franco per sognatori. Ma mica tutti i libri sono romantici, mica tutti i libri fanno sognare. Sogni o non sogni, una libreria o paga le bollette o chiude. E le bollette, data la natura dell’esercizio, si pagano con vagonate di Harry Potter, colonne di Fabio Volo, bancali di “Cotto e Mangiato”. Troppo spesso dimentichiamo che il libraio è un lavoratore autonomo. D’altra parte, il termine “lavoratore” sta diventando una parola desueta a sua volta…

Perché il genere del racconto? Quali le maggiori soddisfazioni e quali le maggiori difficoltà di un giovane autore oggi?

Le difficoltà sono tutte a carico dell’editore: non è colpa degli scrittori se i racconti vendono poco o niente. Dati ufficiali di mercato parlano chiaro, i sopraccitati librai pure: evviva dunque gli editori, solitamente piccoli, che pubblicano raccolte di racconti indipendentemente dall’annunciata drammaticità delle future vendite. Per quanto mi riguarda, “Cherosene” è il secondo volume di una Trilogia del Male, che ho inaugurato nel 2008 col precedente “Polaroid”. Dato l’argomento, mi è parso opportuno trattarlo mettendo a disposizione mia e dei lettori un ampio spettro di situazioni narrative, allo scopo di architettare una mappatura abbastanza esaustiva del Male come oggi si presenta. Lo sapevo fin dall’inizio che un compito simile – e per suicida che possa apparire a me per primo – sarei riuscito a concretizzarlo solo attraverso la forma della novella. Pace all’anima dei miei libri morti sul nascere.

Qual è il libro (se esiste) che ha trasformato il piacere di leggere nell’amore per la parola scritta?

Da ragazzino, dovevo fare la Prima Comunione, un’amica di famiglia mi regalò alcuni romanzi di Jules Verne. Quei libri mi hanno insegnato ad ascoltare le storie. E a trovare le parole e i modi per raccontare le mie.