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Pensi che ci saremmo potuti conoscere in un bar?

di Luca Casadio / 23 settembre

Il racconto breve è uno strumento unico. Qualcosa come un trapano, una trivella, una sonda, che giunge dove le altre forme narrative non possono arrivare.
E anche se non ha la pazienza del romanzo, né la sintesi bruciante della poesia, sa dove andare a scavare. Quali nervi toccare.
Dura il tempo di un’emozione, ma vive abbastanza a lungo per mostrare la sua costruzione, il suo personalissimo modo di usare il linguaggio e di costruire un mondo. La migliore mappa per un territorio sconosciuto.
Forse è per questo motivo che i racconti, meglio di ogni altra forma, riescono a comunicare il senso di un’atmosfera, di una situazione, la forza di un’emozione. Perché ricreano un paesaggio invisibile, un’inquietudine muta, sottopelle, qualcosa per cui non avevamo fino a quel momento le parole adatte.
Questa collezione di storie, scovate da Tiziana Cavasino e Herta Elena Rudolph tra chissà quante altre, riesce a concretizzare davanti ai nostri occhi qualcosa difficile da rappresentare: l’Est.
E attraverso questi 14 racconti l’Est ci appare come una serie di ritratti, di luoghi. Una serie di vicende epiche e minimali al tempo stesso. Un modo di intendere le relazioni, l’amore, il lutto e il divertimento.
È birra, ouzo, whisky, il fumo di mille sigarette e la musica tecno assordante di una festa in Croazia. Un locale da lap dance a Budapest o una birreria di Praga. Una panchina dello zoo di Zagabria, ma anche un condominio di Cracovia. Le strade fredde e vuote di Bucarest o quelle calde e tortuose di Salonicco.
Da queste righe si intravede il lascito della guerra, l’odore (a volte anche l’olezzo, come in Opulenza) della povertà e della fatica di vivere, ma anche la continua attività dei giovani, di chi si ingegna, di chi vuole in ogni modo crescere senza pensare a nulla.
Pensi che ci saremmo potuti conoscere in un bar? rappresenta così un’esperienza; una sortita oltre confine. Una puntata verso quelle terre ferite e in subbuglio dall’altra parte dell’adriatico.
Un ultimo dato mi appare interessante: le curatrici e le traduttrici del libro sono tutte giovani donne, studiose delle culture e delle lingue dell’est.
Questo dato aggiunge un tocco di grazia all’intero lavoro, che diviene così uno sguardo femminile su di un panorama complesso e in trasformazione, che solo leggendo queste pagine possiamo comprendere in tutte le sue diverse sfumature.