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Libri

Ballata di un amore italiano

di Matteo Chiavarone / 11 novembre

Era giusto lo scorso anno che mi ero invaghito di un libro (L’uomo verticale) e di un autore (Davide Longo) che non conoscevo nonostante i suoi altri romanzi e la sua voce, tra le più conosciute della radiofonia nazionale. Prendo in mano, pochi giorni fa, il suo nuovo libro: Ballata di un amore italiano (Feltrinelli, 2011) e lo leggo tutto d’un fiato. Mi ci vogliono due ore per finirlo, forse anche meno. Questione di pagine, poche, e di ritmo, veloce.
Rimango sbalordito. Non credo ai miei occhi. Mi sarò sbagliato: sarà un’omonimia, non può essere quel Longo lì. Non può essere… Leggo la biografia in quarta di copertina e scopro che no, non mi sono sbagliato.
Mi accorgo però di aver dimenticato la piccola nota finale, quelle che troppo spesso non leggiamo per non cambiare opinione sul libro appena letto.
Scopro di cosa si tratta: uno spettacolo teatrale prima, una riduzione radiofonica poi, un libro infine. E con tanti passaggi e altrettante modifiche, tra l’altro.
Lo rileggo nuovamente: tanto ci vuole poco, penso.
Il testo che prima non mi era piaciuto, si apre di fronte a me. Ne comprendo il senso e l’obiettivo. Lo leggo ad alta voce cantilenandone le parti in rima.
Quei versi ossessivi, sgrammaticati, pretestuosi sono la coscienza che ci rimbomba in testa e nel cuore. Siamo di fronte ad una apocalisse, non quella “totale” de L’uomo verticale, ma una più profonda, personale, squisitamente endogena.
È il ribollio delle nostre esistenze esemplificato in una coppia che si ritrova dopo tanti anni nello stesso luogo del loro primo incontro. È la lotta infinita tra chi siamo apparentemente e ciò che teniamo nascosto dentro di noi.
Longo scava in quel magma e, in quanto apocalisse interiore, vuole trovare gli eccessi, lo sporco più sporco: due persone “perfette” che formano una coppia “perfetta” portano con loro in realtà lutti procurati, bugie, infamità.
Non c’è nulla di ingenuo intorno ai protagonisti se non la musica degli anni sessanta che ci riporta indietro nel tempo, in un’età di purezza, di evanescenza, di rarefatta semplicità.
E ascoltando quelle note, con gli occhi sul libro, capiamo, o forse è soltanto un mio vizio di cercare correlativi oltre il racconto, che in quel balletto e in quel gioco di sguardi e sorrisi, di cose non dette, c’è di più di un uomo o una donna. C’è, purtroppo, il nostro paese.  

Leggi anche la recensione di L'uomo verticale e guarda la video intervista a Davide Longo su Flanerí.