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Performer di se stessa: a tu per tu con Lilith Primavera

di Andrea Viviani / 17 febbraio

Arte visiva, teatro, musica, cinematografia; trasformismo, feticcio, nudo; parola, poesia, ritmo; impegno, contro-cultura, felicità; misura, contenimento, eccesso, scandalo. Non è una nuvola semantica delirata in hang-over post-ebbrezza ma la cifra nuova del modo nuovo di fare/essere arte nei canali dell’alternatività. Non le sole geografie sono globalizzate dalla post-modernità: sconvolti e rimescolati sono anche i confini, le pertinenze delle modalità espressive convenzionali sulla scena e fuori. Oltre le tecniche, oltre i copioni, oltre i luoghi deputati, oltre le geometrie dei ruoli, oltre i canoni: tutto (e oltre) s’assomma nell’esperienza estetica e umana della giovane performer romana, ma già nota oltre confine, Lilith Primavera.


Da quanto calchi il palcoscenico, Lilith?
La parola “palcoscenico” non mi soddisfa molto. È raro che nelle mie performance ce ne sia uno come si è abituati a pensarlo. Comunque la mia prima è del 2004, in un privédi una grande discoteca laziale, per un dj newyorkese.

È stato subito nudo?
Non ero nuda lì. Abbiamo giocato col body painting e mi muovevo con una tecnica mutuata da Carmelo Bene. C’era un violinista e un’altra mia socia esponeva dei quadri, c’era questa commistione. A un certo punto si poteva magari vedere il seno, ma non ero nuda.

Come sei arrivata al nudo integrale?
Per la semplicità della nudità. Per eliminare tutti gli orpelli e arrivare al nucleo. In un’altra performance esploravo la dinamica bambola-bambina, facevo la bambola. Assenza di scenografia, musica minimale, immobilità: era necessario che non ci fosse altro se non il corpo.

Metà del tuo nome d’arte echeggia il competere con Eva di una donna demone, l’altra metà rimanda a candide e pudicissime allegorie: qual è la femminilità che porti in scena?
Il mio nome è Lilith; eredità di mia madre, femminista. Non è un nome d’arte. Nemmeno il mio cognome. Dovessi scegliere un nome d’arte sarebbe qualcosa come “Giulia Bianchi”.

La tua è arte di contrasti: geisha dall’espressione immota e corpo flessuoso, elaborata testa di clown su scabra nudità… Sono cozzi casuali?
No. Da una parte è usare le immagini archetipiche che ridondano nella mia fantasia, dall’altra è l’esigenza di prendermi in giro. È ironia che passa per uno sguardo critico sugli immaginari. Una geisha senza kimono che si muove come se lo avesse e si libera dalla rigidità per diventare un clown censurato da pecette nere, per me rappresenta le contraddizioni dello sguardo della società sull’Arte e su cosa può essere considerato spettacolo. 

Cosa guardano i tuoi occhi, fissi oltre gli spettatori?
Un obiettivo [e guarda “oltre”, ndr].

Il tuo corpo spesso è tela: è lui a esaltarsi, o ciò che lo decora?
In realtà accade di rado: mi piace dare giusto qualche accenno di colore perché le mie performance derivano dalle Belle Arti. Io non vengo dal Teatro.

Lilith, cos’è pornografia?
L’insulto all’intelligenza. La censura. La presa in giro massificata. Lo spettacolo che vuole trasformare la realtà in finzione. Questo è pornografia.

Colpisce, delle tue performance, l’aura di cui ti ammanti. Ricordo, all’incedere del tuo corpo nudo, l’indietreggiare dei maschi (me incluso): sei l’anti-desiderio o ne incarni il lato sacrale?
Non lo so, non ci bado.

A me sembra che nessun maschio, quando performi, ti “profani” guardandoti come oggetto di desiderio.
Dici che è per questo che sono single? [E ride, di gusto, ndr.] Io non utilizzo il nudo per stimolare desiderio. Quindi, gli effetti non possono non essere quelli che dici tu.

Una tua esibizione ti vede scandire, in un crescendo di trance ipno-erotica, la parola «love»: è questo il trait-d’union della tua arte?
L’amore, sì sì!

Indossi parole, lasci che scorrano sullo sfondo, raramente ne pronunci: qual è la testualità delle tue performance? Quale sintassi scegli per i significati sulla scena?
Il mio rapporto con la parola scritta è di rottura. In questa fase sono più Ninfa che Apollo, preferisco lasciare i testi a persone che fanno un altro tipo di scelta.

Come nasce una tua performance?
È come quando ti svegli da un sogno e scrivi due righe per ricordartelo. Mi immagino fare cose, e allora appunto lì dei picchetti per non perdere quell’immagine. Prendo appunti, ma sono come delle allitterazioni acide: immagini, movimento, suoni. Poi ogni cosa acquisisce senso quando la vado a fare. E cambia ogni volta. 

«…da vicino nessuno è normale».[1] Da chi ti lasci avvicinare, Lilith?
[Dopo lunga pausa, ndr.] Da te.

 

Per maggiori info:
www.lilithprimavera.org




[1]
«Attacco individui gruppi e contengo immagini di nudo / oscena / violenta / o in qualsiasi modo offensiva / […] / Mostro mondi alternativi, cosmologie private e incubi collettivi /…da vicino nessuno è normale». (dal profilo Facebook di Lilith Primavera)