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“Ti amo ma posso spiegarti”: a tu per tu con Guido Catalano

di Andrea Viviani / 21 marzo

Capita di rado, che un libro propostoti da recensire ti rapisca al punto tale d’aver voglia di andare oltre, quasi fosse un imperativo categorico – magari un po’ pedante, il senso del sé che trapela dalle righe. È il caso di Guido catalano e del suo Ti amo ma posso spiegarti (Miraggi Edizioni, 2011). Centone poetico, manifesto virile, pallottoliere di parole che compongono, assemblate certo non a caso, un mosaico di significato davvero accattivante. Madames et messieurs, ecco a voi l’uomo.

Perché sei minuscolo, in copertina? Non ti senti alla tua altezza?

Mi piacciono molto le lettere minuscole, le trovo più gentili. Detto questo, no, mi sento senz’altro all’altezza. Ho un Ego obeso e gigantesco. Tipo, per intenderci, due metri e dieci per 160 kg. Io invece sono brevilineo. Tipo, per intenderci, un metro e sessantacinque. Ma sono cintura marrone di Judo e giro sempre con un machete nei pantaloni.

 
Giochi molto con le parole: ti vedi giullare o esorcizzi un dolore?

Esorcizzo dolori e paure. Ho molte paure. Prima tra tutte quella di morire. Ho anche diversi dolori. Magari si capiscono leggendo le robe che scrivo. Magari no. Sarebbe meglio di sì, così poi arriva qualcuno con la medicina giusta. Cerco la medicina giusta. Non credo sia un caso che i primi tre libri che ho scritto mi siano stati pubblicati da una casa editrice che si occupa di questioni legate alla Medicina e alla Farmacia.
Il più grosso dolore fisico che ho provato è stato quando mi è venuta una periartrite fulminante alla spalla destra. Mi sarei tagliato il braccio, poi per fortuna mi hanno fatto un punturone di Cortisone nella spalla. È stato uno dei momenti più belli della mia vita, il punturone nella spalla.
Forse tu però non intendevi dolori fisici.
Mercoledì prossimo vado a ritirare gli esami del sangue e così vediamo quando muoio.

 
Il metro del tuo rimare si esalta alla lettura a voce alta: le pensi in chiave performativa, le tue poesie?

Una volta no. Tanti anni fa quando ho iniziato a scrivere, no. Oggi in parte sì. Leggo ad alta voce intanto che scrivo per sentire il suono, il ritmo. Poi so che una poesia appena scritta, con tutta probabilità la leggerò davanti a un pubblico entro pochi giorni. Hai visto che frasi corte che scrivo? Adesso, intendo. Non riesco più a scrivere periodi lunghi. Sono preoccupato.

 
Qual è il tuo lettore ideale?

Quello che mi compra i libri e le belle ragazze che si innamorano di me. Ho molto bisogno d’amore, Andrea, non te lo nego.
Dunque direi che il mio lettore super-ideale è una ragazza che mi compra i libri e poi si innamora di me.
Possibilmente automunita ché io non ho la macchina perché non ho la patente.
Possibilmente con gli occhi chiari ma va bene anche scuri.

 
Toglimi una curiosità: anche tu, come i tre quarti della popolazione maschile italiana, sei convinto che prima o dopo tornerà?

Grazie per avermi posto questa interessante domanda.
La risposta è no.
Non torna.
E se tornasse non mi troverebbe.
Anche perché mi son scassato il cazzo di aspettare.
Comunque non ho capito la domanda.

[E si fa – gradevolmente – intimo: «Non è che sia brutta, Andrea, ma non l’ho capita anche se ho risposto. Ti va poi di spiegarmela bene una volta che ci vediamo?»; la chiosa, garantisco, è in stile, ndr].

 
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