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[El País] “Per il dolore di chiamare” di Enrique Vila-Matas

di Giulia Zavagna / 26 marzo

Riportiamo di seguito la traduzione dell’articolo di Enrique Vila-Matas apparso ieri, domenica 25 marzo, su El País, scritto in ricordo di Antonio Tabucchi.


Che cosa diavolo siamo venuti a fare qui? Credo di avere una vaga idea di quello che risponderebbe Tabucchi. Ammiro in lui l’immaginazione e la capacità di studiare la realtà per poi arrivare a una realtà parallela, più profonda, una realtà che solo a volte accompagna quella visibile. Ricordo che amava Drummond de Andrade, che vedeva il mistero dell’aldilà come se fosse solo un vecchio palazzo di ghiaccio. Penso a questo, mentre busso alla porta del tempo perduto e mi rendo conto che nessuno risponde. Torno a bussare, e ho di nuovo la sensazione di battere invano.

La casa del tempo perduto è coperta di edera da un lato, e di cenere dall’altro. Non ci vive nessuno, e io me ne sto qui a bussare e a chiamare, per il dolore di chiamare e di non essere ascoltato. Nulla è vero come il fatto che il tempo perduto non esiste, esiste solo un casermone vuoto e condannato. E il vecchio palazzo di ghiaccio. Sette giorni fa mi è arrivato a casa un messaggio di Tabucchi, in risposta a dei ricordi di Porto Pim, mi sono immaginato: «Parli di un’epoca remota, di quando ancora c’erano le balene. Un’epoca di prima del diluvio, e tuttavia vissuta. Che strano, amico mio». È vero, che strano. Oggi Porto Pim – edera e ceneri nel luogo dove nessuno vive – è anch’esso un paesaggio del tempo perduto.

Oltre al grande inventore di ricordi e creatore di narrazioni, c’era un Tabucchi profondamente immerso nella realtà, uno scrittore che aveva compreso che Berlusconi, grazie al suo impero televisivo e mediatico, aveva creato un mondo fittizio e che gli italiani erano caduti in una specie di Truman Show dal quale non sarebbero usciti per anni, se anche Berlusconi se ne fosse andato. E non bisogna dimenticare, diceva, che quello show aveva prodotto leggi molto concrete e un regime spaventoso. E, ancor meno, dimenticare le responsabilità di coloro che avevano tollerato, accondiscendenti, uno spettacolo così grottesco.

Tabucchi sentì il bisogno di andarsene quando quell’infame spettacolo italiano iniziò a influenzare seriamente la sua vita. Si trasferì a Lisbona, dove a volte scriveva dell’isola di Corvo e della lontananza. Io ho scritto tutta la vita della Donna di Porto Pim, libro che considero un capolavoro, un artefatto letterario che a volte contemplo come se fosse un Moby Dick in miniatura. Meno di cento pagine che rappresentano un esempio perfetto di libro di frontiera, un marchingegno composto da racconti brevi, frammenti di ricordi, diari di trasferimenti metafisici, appunti personali, biografia e suicidio di Antero de Quental, schegge di una storia catturata sulla coperta di una nave, mappe, bibliografia, astrusi testi legali, canzoni d’amore: elementi a prima vista contraddittori e, soprattutto, estranei alla letteratura, trasformati da una profonda volontà letteraria in narrazione pura. Un libro memorabile, come tanti altri suoi: Requiem, Notturno indiano, Piccoli equivoci senza importanza, Sostiene Pereira, Si sta facendo sempre più tardi.

In quanto a Corvo, è l’isola più remota dell’arcipelago delle Azzorre. Ci si può arrivare solo via mare. Non dimenticherò mai il giorno in cui Tabucchi vi sbarcò e vide un uomo che aveva un mulino a vento per macinare il grano e che gli chiese, stupefatto: «Signore, che cosa è venuto a fare su quest’isola?» A Corvo ci si va per andarci, seppi poi che pensò Tabucchi, al quale sarebbe piaciuto essere uno di quei portoghesi che nel XV secolo arrivarono per la prima volta nelle Azzorre e lì trovarono un paradiso. Quella era un’epoca senza dubbio remota, di quando c’erano ancora le balene. Un’epoca che oggi ci sembra, con immenso dolore, già estremamente lontana, e tuttavia, per quanto possa apparire strano, davvero vissuta.
 


Fonte: http://elpais.com/
 

Enrique Vila-Matas (Barcellona, 1948) è considerato da molti il maggiore scrittore spagnolo vivente. La sua opera narrativa include romanzi come Esploratori dell’abisso e Dublinesque, entrambi pubblicati in Italia da Feltrinelli, ma anche volumi di racconti, articoli e saggi.