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Cinema

“Auguri don Gesualdo” di Franco Battiato

di Maria Luisa Maricchiolo / 4 aprile

«A noi due». Se dovessi ritrarre con una frase Gesualdo Bufalino sceglierei questa, la sua dedica-enigma che introduce a Le menzogne della notte.

Auguri don Gesualdo è il titolo del docu- film realizzato da Franco Battiato per raccontare lo scrittore di Comiso. Un siciliano che racconta un altro siciliano, a partire dalla grande amicizia che li ha legati.

Il 29 marzo 2012 Franco Battiato e Antonio Di Grado hanno presentato presso il cinema The Space, all’interno del centro commerciale Etnapolis di Belpasso (Catania) questo film documentario. Il pubblico in sala è composto per lo più da giovani, ragazzi delle scuole medie e superiori e studenti universitari della facoltà di Lettere.
Con l’arrivo in sala di Battiato i fotografi scatenano i loro flash, poi l’attore Salvatore Lazzaro recita “Dedica, dopo molti anni”, dalla raccolta di poesie L’amaro miele di Bufalino.
Prima della proiezione, Battiato parla della scelta, che accomunava lui e l’amico Gesualdo, di vivere lontano dal centro. La periferia come scelta: «Perché non ho problemi di parcheggio… e poi c’è un silenzio atavico, incalcolabile, la nostra civiltà è troppo rumorosa perché in realtà ha paura di guardarsi dentro». A questo discorso si unisce Di Grado: «Fare di una marginalità scelta una condizione di privilegio, dialogare con le grandi capitali dell’anima. Bufalino giocava a carte al circolo del paese, ma passava le sue notti insonni a dialogare con i classici». Baudelaire, per dirne uno. «In una Sicilia che è grembo e trappola, che amiamo e odiamo».

Battiato e Di Grado liberano il campo dalle basse polemiche insorte intorno al fatto che il documentario venisse presentato presso il cinema di un centro commerciale.
Di Grado spiega come, anzi, i non luoghi siano i luoghi più adatti per i viaggiatori dello spirito, che disertano i luoghi della quotidianità per riscriverli. E Battiato aggiunge: «Questa è una sala, un cinema, non c’è la gente che dice passami un pantalone o quella camicia. Mi rifiuto, infatti, di presentare nelle librerie perché disturbi chi è là per comprare i libri… avà a finisturu cu ’sti fotografie? Va bene una, due, tre ma ora su’ troppi…» in uno spontaneo code switching, Battiato passa al dialetto siciliano per rivolgersi a un fotografo che lo sta tempestando di scatti mentre parla, il fotografo smette immediatamente e scompare tra la schiera dei suoi colleghi.
Battiato procede facendo dono al pubblico di due episodi della propria amicizia con don Gesualdo, raccontando di una telefonata in cui tentò di risollevare l’amico affranto per il fatto che Giorgio Bocca aveva parlato di lui come di un mafioso; e di un loro incontro in cui Bufalino prendendolo sotto braccio si raccomandò di salutargli tanto Manlio (Sgalambro ndr) dicendogli: «Lo leggo sempre… veramente ogni tanto, perché è tostissimo!»
Di Grado ricorda di averlo conosciuto a Comiso, negli anni ’70, in occasione di una mostra fotografica in cui Bufalino conobbe anche Elvira Sellerio e Leonardo Sciascia; e di come la loro amicizia sia nata all’insegna dello scambio, del dibattito. Bufalino una volta aveva scritto un articolo per il quotidiano locale, che lo aveva sollecitato a pronunciarsi sulla mafia. Paradossalmente disse che per sconfiggere la mafia bisognava modificare il Dna dei siciliani, Di Grado a quell’epoca racconta di essere stato uno di quelli che si era unito alle polemiche. Bufalino rispose scrivendogli una lettera che ironicamente concludeva con la frase del Gattopardo in cui Don Fabrizio dice dei siciliani: «Noi siamo dei».
Di Grado prosegue, su invito del moderatore che gli chiede del rapporto tra Bufalino e la gioventù:«Non era uno scrittore civile, la sua è una lezione di stile quindi di civiltà, moralità e umanità. Per questo è importante che i ragazzi leggano il più possibile». E ancora Battiato e Di Grado regalano al pubblico un aneddoto circa un inedito Bufalino, autore di un ingenuo quanto poetico testo per musica, poi confluito nell’album Fleur con il titolo “Che cosa resta”. Infine alla domanda sulla differenza tra scrivere un libro e montare un film, Battiato risponde: «Inconciliabili, anche se qui dentro c’è molta letteratura. C’è musica, ritmo, un film richiede anche di tagliare se ci sono certe lunghezze». E anticipa l’idea di andare a nero quando Giulio Brogi recita “Alla madre”.

Il documentario, della durata di un’ora circa, si apre con un intervista-reperto a Bufalino, in bianco e nero, sul Festival di Sanremo, che al giornalista risponde: «Non riesco a canticchiare i motivi di oggi mentre faccio la barba senza procurarmi un taglio». Ci viene presentato un don Gesualdo ironico, si succedono sullo schermo foto e immagini mentre la voce fuori campo di Battiato, come in punta di piedi, ne ricostruisce la biografia. Il documentario si snoda accostando alle testimonianze di chi ha conosciuto Bufalino brani di video interviste tratti dalle Teche Rai.
Piero Guccione, ad esempio, ricorda la stima e il grande affetto che Bufalino nutriva nei confronti di Sciascia; Elisabetta Sgarbi rammenta del Premio Campiello vinto da Bufalino per un voto e delle costanti correzioni ai dattiloscritti, di cui parla anche Francesca Caputo. E ancora Sebastiano Gesù, Antonio Di Grado, Manlio Sgalambro, Nunzio Zago, Matteo Collura e molti altri. Dalla testimonianza di Angelo Scandurra desumiamo il perché del titolo del documentario: era un augurio scritto su una torta di compleanno per festeggiarlo.
Infine, come anticipato, lo schermo va in nero e protagonista si fa va la voce di Giulio Brogi. Attraverso le parole vibranti di don Gesualdo, rievoca l’incontro tra Biagio e Maria, i genitori.

Auguri don Gesualdo è un film lieve e accurato, un omaggio a un autore che ha amato la solitudine quanto la leggerezza del gioco. Uno scrittore secondo lo sguardo di chi lo ha conosciuto, vivo nelle vite altrui. Un uomo “invaso” che afferma:«Uno scrittore trova le sue ragioni nella propria coscienza. Si può essere testimoni del mondo o di se stessi. Io sono umilmente e dolorosamente un testimonio falso di me».