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“Furia avicola” di Rafael Spregelburd

L’incapacità di leggere le categorie del contemporaneo

di Federica Imbriani / 20 febbraio

Rafael Spregelburd, acclamato come un genio da una larga parte della critica internazionale, torna in Italia con Furia avicola, spettacolo composto da due atti unici e un intermezzo, realizzato in collaborazione con Manuela Cherubini, per rappresentare agli occhi dell’Europa quella che a suo dire è la condizione di profonda crisi di senso vissuta dal Vecchio continente.

Nel primo atto unico, una colta rappresentazione sulla fine dell’arte, due critici teatrali si interrogano sulla natura dell’Ecce Homo di Cecilia Giménez, una benintenzionata parrocchiana ottantunenne, pittrice dilettante senza esperienza né qualifica alcuna, che nell’agosto del 2012 prende di sua spontanea iniziativa la decisione di restaurare l’affresco rovinato della cappella di Borja, nei pressi di Saragozza, deturpando l’opera originale e aprendo al dibattito sulla possibilità di interpretare come artistica ancora l’opera in sé e per sé o dover riconoscere l’atto artistico anche nell’atto casuale che si traduce, in conseguenza a una altrettanto casuale acclamazione mediatica, in un fenomeno del web.

Il secondo ricalca la questione della necessità della burocrazia come già era stata indagata da Max Weber. All’interno di uno spazio immaginato che potrebbe essere quello di qualunque edificio pubblico, si svolgono le piccole vite di quattro impiegati, un po’ Russia fine ottocento, un po’ Post Office, che si scoprono, tra una pausa caffè e una lite, i custodi della vita dello Stato organizzato così come la conosciamo. Una vita in cui i documenti che la registrano e la rendono realmente vissuta, valgono di più del denaro, che pure è diventato l’unico metro di misurazione non solo del valore degli oggetti, ma anche dell’esperienza che si fa di essi.

Tra i due l’Intermezzo. Di fronte allo spettatore cinque sedicenti traduttori simultanei rappresentano la condizione dell’uomo contemporaneo di fronte ai mezzi di comunicazione più recenti. Tutti al mondo, persino i bambini, sono in grado di lanciare un’app per smartphone come Angry Birds, di comprendere il linguaggio grafico necessario alla decrittazione delle istruzioni e di condividere la stessa identica esperienza di gioco, ma quando la conoscenza tattile acquisita nella realtà virtuale, prova a essere spiegata a parole, ci si rende conto che l’uomo oggi vive in una realtà talmente rapida che il linguaggio con cui la si descrive si fa anacronistico e il tempo della riflessione non è sufficiente a generare delle categorie di senso per interpretarla.

Per questo la Furia avicola di Spregelburd sta tanto per un’arcaica traduzione proprio di Angry Birds, quanto per la gazzarra che i polli e le galline in batteria fanno dibattendosi nelle gabbie nel tentativo inutile di dispiegare le ali e liberarsi dalla prigione.

La forza di quest’opera sta nella sua contemporaneità e nella sua universalità. Furia avicola è uno spettacolo grottesco che può essere fruito a livello epidermico per riconoscersi nelle frustrazioni dei personaggi in scena quelle di ogni giorno – dallo sforzo interpretativo a cui ci costringono le opere d’arte contemporanea, alla mortificazione di dover fare file infinite per risolvere qualunque ordinaria bega amministrativa – ma anche come strumento per interrogarsi sulla propria capacità di interpretare la vita quotidiana e senza, in ragione della giovane età dell’autore-regista, dover condannare necessariamente i nostri giorni a un implicito giudizio negativo.

 

Furia avicola
di Rafael Spregelburd
traduzione Manuela Cherubini
regia di Rafael Spregelburd e Manuela Cherubini
con Rita Brütt, Fabrizio Lombardo, Luisa Merloni, Laura Nardi, AmândioPinheiro

Roma – Teatro India dal 17 al 22 marzo